venerdì 5 agosto 2016

USA 2016: Diario di viaggio/2

Dopo la rapida visita a Janesville, dove riusciamo a non incrociare anima viva praticamente per tutta la durata del giro di downtown (un’ora scarsa, bisogna ammettere), ci mettiamo in macchina e ci dirigiamo verso Green Bay, dove ci aspetta la grande serata che ha originato il tutto.
La tensione, già a livello di guardia nei giorni precedenti, sale ulteriormente con l’avvicinarsi dell’evento. Parlare di fronte ad una platea competente non è un problema. Doverlo fare in inglese, e dover poi sostenere una sessione di Q&A mi preoccupa molto. Mi sono scritto l’intervento, a costo di fare il “lettore di telegiornale”, ma il terrore di impappinarmi è troppo grande per rischiare.
Arrivati a Titletown, c’è appena il tempo di rilassarsi un attimo, scendere nella hall, conoscere finalmente dal vivo Mark (il traduttore del mio libro) dopo un’amicizia virtuale che dura da più di dieci anni ed infilarsi nuovamente in macchina per raggiungere il Lambeau Field.
Come la stragrande maggioranze degli stadi USA, l’edificio del Lambeau Field è imponente, e da fuori tutto sembra fuorché uno stadio. Dentro è splendido. L’atrio ospita le biglietterie, un ristorante, la hall of fame, il team shop davvero gigantesco dove si può trovare qualsiasi cosa (e dico QUALSIASI COSA) marchiata Packers ed ovviamente l’accesso alle strutture complementari come le sale conferenze ed i saloni degli eventi. Lo stadio vive 24/7/365. E’ vuoto solamente quando è chiuso, altrimenti si trovano sempre visitatori, turisti, persone che partecipano ai vari eventi organizzati nella struttura, come convegni (come quello a cui partecipo io), feste di compleanno, matrimoni e chi più ne ha più ne metta.  Come ci spiegherà la guida durante il tour dello stadio, l’ultima ristrutturazione avvenuta con l’ultima emissione di azioni della squadra (i Packers sono l’esempio più fulgido, coltre che unico nello sport professionistico americano, dell’azionariato popolare) ha trasformato lo stadio da luogo da frequentare durante le partite e, forse, gli allenamenti, a polo di attrazione permanente, con tutta una serie di attività che lo tengono costantemente in movimento facendo entrare nelle casse dei Packers un flusso costante e consistente di presidenti morti ogni singolo giorno.
P.F.R.A. 2016 Meeting
La Convention ha inizio e, dopo i primi due interventi sulla storia dei Packers in generale e di quelli del 1966 in particolare, tocca a me. Dopo un breve impaccio iniziale la presentazione scorre via liscia come l’olio, riscuotendo notevole interesse tra i partecipanti che, terminata la mezz’ora dedicata all’argomento, mi premiano con una sessione di Q&A decisamente consistente. La curiosità nei confronti del football in Europa ed in Italia è grande, ed anche persone a cui non ho nulla da insegnare sulla storia del football come l’audience che ho di fronte, fanno domande, chiedono delucidazioni, commentano con interesse. Insomma, tutte le mie preoccupazioni svaniscono in un niente e potrei andare avanti all’infinito, se solo non ci fosse ancora un intervento dopo il mio. Avrò comunque modo di parlare con diverse persone tra fine serata ed il giorno successivo, quando si avvicineranno uno ad uno a chiedere ancora mille cose sul football italiano ed europeo. I complimenti si sprecano e la soddisfazione aumenta a dismisura. Sinceramente mi aspettavo un’accoglienza meno calorosa e molto meno interesse per l’argomento.
La convention prosegue anche il giorno successivo, quando Bob Long e Zeke Bratkowski, due giocatori dei Packers del 1966, ci fanno passare una splendida mattinata ad ascoltarli raccontare aneddoti sulla squadra, su Vince Lombardi e sulla NFL di quei tempi.
Il tutto si conclude con un tour del Lambeau Field e della Green Bay Packers Hall of Fame, a chiudere una due giorni stupenda.
Lambeau Field
La domenica mattina si replica il tour dello stadio per condividerlo con moglie e figlio, e si aggiunge anche una minivisita alla città prima di ripartire per la prossima tappa: Milwaukee.
Green Bay necessiterebbe probabilmente almeno di un altro giorno per poterla visitare come si deve. Purtroppo le tappe forzate di questo viaggio non ci lasciano spazio di manovra ma, come scopriremo presto, sarebbe stato meglio rosicchiare del tempo a Milwaukee per dedicarlo a Green Bay, perché la città di Fonzie sarà una delusione assoluta.
Durante la visita del Lambeau Field si sale in cima al tabellone dello stadio, il punto più alto di tutta la città, e da lì si può apprezzare il motivo per cui la città porta quel nome: una distesa verde di alberi a perdita d’occhio si apre in ogni direzione, nascondendo persino il Lago Michigan (che piccolino non è, misurando in superficie due volte il Piemonte…). Per il resto, la città vive, respira ed è votata ai Packers in ogni sua parte. Già il fatto che la popolazione sia di 100mila abitanti e lo stadio ne possa contenere più di 80mila dovrebbe dare da pensare a quanto questa comunità sia legata alla propria squadra di football.
Packers Hall of Fame
Vicino allo stadio le vie hanno nomi leggendari: Lombardi Avenue, Holmgren Way, Reggie White Way, Bart Starr Road, Tony Canadeo Run, Mike McCarthy Way. In zona c’è anche una S Norwood Avenue, ma dopo un po’ diventa N Norwood Avenue, fugando qualsiasi dubbio sul perché a Green Bay avessero avuto la necessità di intitolare una via a Scott “Wide Right” Norwood.
Lasciamo Titletown un po’ a malincuore, a dire il vero, ma quel “prima di morire vedrò una partita dei Packers al Lambeau a Dicembre sotto la neve” resta sempre valido. Chissà che un giorno…

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