mercoledì 23 febbraio 2011

Priorità aziendali

C'è un'azienda italiana, un grande gruppo, una multinazionale europea, la terza in Europa nel proprio settore, dove i dipendenti devono fare i salti mortali per fare delle economie definite "da buon padre di famiglia", anche su cose strettamente necessarie per lo svolgimento del proprio lavoro.
Ecco allora che i "bravi dipendenti" stampano fronte/retro per non sprecare carta, magari impaginando due fogli per pagina A4 rendendo i documenti simili ad un tabellone per la visita oculistica comprendente solo le righe visibili a chi ha 11 o 12 decimi. Per avere un toner di ricambio devono compilare moduli e scartoffie che ne certifichino l'assoluta necessità, e nel mentre si devono adattare estraendo la cartuccia del toner esaurita e shakerandola per andare a pescare gli ultimi granelli di micropolvere per stampare (male) un documento essenziale.
Gli stessi devono poi elemosinare un ordine di cancelleria l'anno (e non più di uno), e se per caso le scorte finiscono prima, si devono arrangiare. Inutile dire che, ovviamente, fare ordini sovrastimati è impossibile, perchè l'inflessibile controllore degli ordini di cancelleria ti chiede di giustificare perchè chiedi dieci bloc notes se lo scorso anno ne hai usati nove.
Poi arriva il bollettino del dopolavoro aziendale, da consultarsi rigorosamente on-line onde non sprecare carta e toner per l'inutile stampa, che dà notizia della vittoria del team aziendale nella gara di categoria di uno sport caro all'amministratore delegato dell'azienda.
Capita quindi che i componenti di detta squadra vengano chimati nell'ufficio dell'amministratore delegato per ricevere i complimenti dell'azienda oltre ad un sostanzioso e robusto contributo economico per comperare divise, materiali e gadget vari per ben presentare la squadra alle prossime gare.
Vien da sè che i bravi dipendenti, che già si interrogavano su quali nefasti effetti possano mai avere sul bilancio aziendale (per la cronaca in attivo di svariati miliardi di euro. MILIARDI, lo ribadisco per i più distratti) le richieste di un paio di bloc notes, evidenziatori di colori diversi (e non solo gialli), rotoli di scotch (attualmente contingentati in numero di tre cadauno per anno), bucatrici (attualmente assegnate in numero di una ogni quattro scrivanie), si domandano, senza darsi risposta o dandosene di assolutamente scontate, quanti ordini di cancelleria potrebbero fare con i soldi destinati ad evitare di dover presentare il team aziendale con la stessa tuta dello scorso anno (evento assolutamente disdicevole) o addirittura gareggiare con dei materiali giù usati una volta (orrore e sgomento!).

lunedì 14 febbraio 2011

Adesso.

Centinaia di migliaia di persone in piazza, ieri. Tante donne, ma anche uomini che rifuggono la logica del bunga-bunga con cui la destra ("certa" destra) ha egemonizzato l'Italia e che vuol farci credere che tutti apprezziamo.
Le donne della destra, di "quella" destra, si sono subito affannate a sminuire la portata della manifestazione. Dall'oca giuliva Gelmini, che ha avuto il coraggio di definire "quattro radical chic" la marea di persone che si è riversata nelle piazze italiane, all'assatanata Santanchè, che vorrebbe organizzare una bella manifestazione con le donne che sostengono Berlusconi (sicura di volere il confronto, anche solo numerico?), tutte le donne che attualòmente occupano un cadreghino grazie alla benevolenza del capo non hanno perso l'occasione di stigmatizzare o deridere la manifestazione.
Bene. Sono contento che sia accaduto. Tutto questo affannarsi a denigrare il sentimento di una gran moltitudine di persone, che fanno parte di quello stesso "popolo" che il loro capo agita sempre a sproposito quale ultimo legittimatore supremo di tutte le sue nefandezze, dimostra una volta di più che la manifestazione ha colpito nel segno. Si rosica, e si teme di perdere lo scranno, e quindi si va all'attacco, perchè come recita il vecchio adagio, non  c'è milgior difesa dell'attacco.
Certo, la nostra piazza è diversa da quella dell'Egitto o dell'Algeria o della Tunisia, tanto per citare le ultime in ordine cronologico che "hanno cacciato i governi", ma affermare che le piazze non provocano le dimissioni è quanto meno incauto.
I tempi sono maturi, non facciamoci scappare anche questa occasione di rimettere in carreggiata l'Italia. "Se non ora, quando?" recitava lo slogan della manifestazione di ieri. Adesso.