venerdì 20 marzo 2015

Grazie Ragazzi

Volevo scrivere queste righe già dopo l’impresa di Bilbao, ma ho atteso fino al termine di questa fantastica cavalcata europea, perché avevo la netta sensazione che non sarebbe finita molto presto. Mi sbagliavo, ma di poco. Il Toro che ho visto ieri sera poteva tranquillamente qualificarsi con un pizzico di fortuna in più ed un pizzico di malizia ed esperienza in Russia, la stessa che hanno mostrato i russi ieri sera, financo fastidiosi con i loro mille espedienti per perdere tempo.
Chi mi conosce avrebbe dovuto già accorgersi di un grande cambiamento. Ho scritto Toro, con la T maiuscola, e non Cairese, come spesso ho chiamato la squadra che indossava la maglia granata ogni domenica in questi dieci anni di presidenza di bracciamozze a.k.a. Urbano Cairo.
Ho scritto Toro perché ho finalmente rivisto la squadra di cui sono innamorato follemente da sempre. Una squadra che lotta, che butta il cuore oltre l’ostacolo, che porta a casa imprese epiche come quella di Bilbao senza sapere nemmeno bene come ci è riuscita, che sopperisce alle (molte) carenze tecniche con la grinta ed il cuore. Il tutto nonostante una società assente, un presidente che li considera solo una possibile plusvalenza ed un allenatore che, pur con qualche merito, non perde occasione per dichiarare come il tale o il talaltro sia pronto per una grande squadra, un palcoscenico più importante, il “calcio che conta”.
Sul presidente non ho parole da spendere, solo parolacce. Sull’allenatore, invece, qualche parola la spendo volentieri. Non è un mistero che non mi piaccia per niente. Non mi piace il suo non gioco fatto di verticalizzazioni all’indietro e di giro palla insulso a scimmiottare il tiki-taka del Barcellona (non è un caso che a Bilbao e ieri sera con lo Zenit si sia visto il Toro più lontano che si possa immaginare da quello che Ventura ci ha abituati a vedere in questi anni), non mi piace il suo ricordare costantemente che veniamo dalla serie B e da Cittadella, come se 100 anni di storia non fossero mai esistiti, e non mi piace la sua mania di prendersi i meriti delle vittorie ma mai i demeriti delle sconfitte, che sono sempre colpa dell’ambiente, dei tifosi, dell’errore di Benassi, dell’errore di Jansson. E’ però riuscito a plasmare un buon gruppo, e soprattutto a domare giocatori che ovunque siano stati (prima e dopo) hanno fallito (Cerci, anyone?). I risultati sono dalla sua, e su questo ci sono pochi dubbi. Però io ero orgoglioso di essere del Toro anche quando perdevamo a Castel di Sangro (un episodio a caso nei cent’anni di storia mai esistiti secondo Ventura) o quando pareggiavamo a Cittadella, perché i giocatori, gli allenatori ed i presidenti vengono e vanno, ma noi siamo sempre qua “a guardia di una fede”. Quello di cui non sono orgoglioso, da dieci anni a questa parte, è di avere un presidente che avrebbe la possibilità di fare grandi cose, ma preferisce vivacchiare alla giornata, sperando di azzeccare l’annata, nascondendosi dietro al paravento del bilancio sano e dei conti a posto (per forza… se non spendi mai è impossibile fare debiti).
L’avventura europea è finita, e chissà quando ci capiterà di nuovo di viverla. Tanti dei “cuori granata” che ieri sera riempivano il Comunale, se ne torneranno nell’ombra, pronti a saltar fuori all’occorrenza alla prossima vittoria, ma del resto la gobbizzazione di gran parte della nostra tifoseria è un processo evolutivo inarrestabile, soprattutto con personaggi come i due summenzionati in giro.
Io continuerò a portare sempre con orgoglio qualcosa del Toro indosso, come accade oramai da almeno quarant’anni a questa parte, sperando di non dover rivedere in campo la Cairese da qui a fine campionato.
Grazie ragazzi, grazie Capitan Glik. Ci avete fatto sognare.