giovedì 27 agosto 2015

Inghilterra 2015: appunti di viaggio / 3

Lasciata Nottingham con l'irrisolto mistero del castello, giungiamo a Sheffield nel tardo pomeriggio. La dislocazione piuttosto periferica dell'albergo non permette un comodo giro serale per la città, ed anche per il fatto che siamo un po' stanchi, rimandiamo la visita al mattino seguente, prima di intraprendere il trasferimento verso Liverpool.
Purtroppo, per i motivi già spiegati nella prima parte di questo resoconto, la visita a Sheffield si trasforma in una mattinata spesa tra farmacia e NHS, l'ambulatorio dove ci si deve recare per farsi visitare ed ottenere una prescrizione medica, e tra una cosa e l'altra tutto il tempo che avrebbe dovuto essere dedicato ad una rapida escursione in città se ne va in "turismo sanitario", per cui ci incamminiamo in direzione Merseyside in leggero anticipo rispetto al previsto.
Negli anni ho sempre sentito parlare di Liverpool come di una città depressa, operaia, pesantemente colpita dalla crisi degli anni '80 dalla quale non si è mai più risollevata. La mia curiosità nei confronti della città dei Beatles e di Anfield Road, però, era comunque alta, anche se i racconti di tutti quelli che ci erano stati in passato non erano proprio incoraggianti.
Capirete quindi il mio stupore quando mi sono ritrovato in una città moderna, tutto sommato abbastanza vitale ed al centro di un processo di rinnovamento importante.
Gli abitanti di Liverpool sono spesso chiamati "Scousers", termine derivato da "lobscouse", un particolare tipo di stufato cucinato con le gallette tipicamente utilizzata sulle navi per le sue qualità di lunga conservazione. Ho sempre pensato che Scousers fosse un dispregiativo, ma ho invece imparato che gli abitanti stessi di Liverpool si definiscono più spesso Scousers che non Liverpudlians. Se poi fai parte della "metà blu" della città, quella cioè che tifa Everton, il termine Liverpudlian è quasi bandito, per ovvi motivi.
Il centro nevralgico di Liverpool si concentra tutto nella zona dei vecchi docks, il cosiddetto Liverpool Waterfront, dove si trova una mistura di stili architettonici che inizialmente sembra un pugno in un occhio, ma che ad un secondo sguardo risulta gradevole. Le forme ardite del Liverpool Museum e del Liverpool Convention Center o il parallelepipedo nero e spigoloso del'Open Eye Gallery sono in netto contrasto risptto all'architettura vittoriana o ai muri di mattoni rossi dei docks che li circondano, ma tutto sommato l'armonia del luogo non ne risente.
Lo so, in fatto di gusti architettonici non potete certo fidarvi di uno dei tre torinesi a cui piace la Torre Littoria di Piazza Castello, ma dovrete farvene una ragione: questo c'è e questo vi tocca.
Dalla parte del Mersey si susseguono il Princes Dock, il Pier Head, l'Albert Dock ed il King's Dock, vecchi edifici portuali, probabilmente ai tempi malfamati e maleodoranti, sapientemente trasformati in centro di attrazione turistica con tutto l'occorrente, dai negozietti ai ristoranti, dai musei alle gallerie d'arte alle attrazioni come una ruota panoramica in stile (molto ridotto) London Eye.
Molto particolare la minuscola stazione dei Ferry (across the Mersey, cit. Gerry and the Pacemakers), che per diversi decenni ha rappresentato il punto di approdo a Liverpool per migliaia di persone.
Dalla parte opposta dello stradone che costeggia i Docks il quartiere è stato completamente rifatto e riempito di centri commerciali e negozi tipici dei "centro città europei" (Zara, Starbucks, Footlocker, ecc. ecc.). La zona pedonale è molto affollata ma decisamente anonima. Se non fosse per gli store di Liverpool ed Everton praticamente fianco a fianco, ci si potrebbe trovare in una qualsiasi città moderna.
All'interno della zona pedonale c'e il Cavern District, dove ha sede l'omonimo locale che ha praticamente dato i natali ai Beatles, anche se i beatlesiani di ferro riconoscono la primogenitura ai locali di Amburgo  come l'Indra ed il Kaiserkeller dove Lennon e soci (senza Ringo Starr) suonarono dal 1960 al 1962 prima di diventare famosi. Detto che il Cavern attuale non è quello originale, sacrificato sull'altare del business del condominio costruitoci sopra, ma una copia costruita 30 metri più a destra della sua locazione iniziale, davvero degno di nota è il muro di mattoni di fronte all'entrata, su ogni mattone del quale è inciso il nome del gruppo o del cantante che si è esibito al Cavern almeno una volta.
E qui veniamo all'argomento Beatles. Io immaginavo che, con tutti i beatleasiani sparsi nel pianeta, Liverpool presentasse i Fab Four ad ogni angolo, ne avesse fatto il simbolo della città e uno non potesse camminare per strada senza imbattersi in qualcosa che li ricordasse. Invece, a parte la Beatles Experience all'Albert Dock e le statue dei quattro sul palazzo di North John Street che fa angolo con Mathew Street, i Beatles sono praticamente assenti dalla città. Persino nei negozi di souvenir ci sono relativamente poche cose che li riguardano. Un mistero pari a quello del castello di Nottingham.
Come spesso facciamo nelle grandi città, abbiamo preso il locale "City Sightseeing" o suo equivalente mussulmano per avere almeno uno sguardo d'insieme, non potendo per ovvi motivi visitare tutto. Ed anche questo tour non ha una, dicasi una, fermata dedicata ai Beatles. Nella mia ignorante ingenuità mi sarei aspettato un Beatles Tour nei luoghi resi famosi dalle loro canzoni. Invece niente Strawberry Field dove "nothing is real and nothing to get hung about"e niente Penny Lane con il suo "barber showing photographs of every head he had the pleasure to have known", e niente Yellow Submarine, che starebbe bene da qualche parte ai docks.
Un'altra mezza delusione è stata la visita ad Anfield Road, complice i lavori di espansione di una delle tribune che ne ha limitato l'accesso. Tra le altre cose, ad esempio, non ho potuto vedere la famosa cancellata nera con la scritta dorata "You'll never walk alone", ed anche il tour dello stadio (a pagamento, non gratis come a Nottingham...) era ridotto a causa dei lavori (ma a prezzo pieno, anzi: pienissimo) per cui non ho ritenuto opportuno farlo.
La sistemazione alberghiera era ottima, un Premier Inn situato a Birkenhead, dall'altra parte del Mersey. Da un lato era comodissimo, perchè la stazione della metropolitana era a due passi ed in sole quattro fermate ti ritrovavi in centro città. Per contro, per usare la macchina per raggiungere Liverpool, dovevi sottostare al pagamento del tunnel di attraversamento del Mersey (indispensabile, perchè l'unico altro modo di arrivare dall'altra parte (1 Km in linea d'aria) è di circumnavigare l'estuario del Mersey percorrendo 64 chilometri...) e poi alle carissime tariffe dei parcheggi del waterfront. Inutile dire che la macchina ha svernato nel parcheggio dell'hotel per tre giorni.
Conclusa la visita a Liverpool, è ora di dirigersi verso un'altra meta del mio personalissimo pellegrinaggio: Tanworth-in-Arden.
Curiosi di sapere cosa c'è in questo minuscolo paesino sperduto del Warwickshire? Lo saprete la prossima volta.

venerdì 7 agosto 2015

Inghilterra 2015: appunti di viaggio / 2


Saliamo sulla nostra splendida Mazda 3 nera ed iniziamo il tour inglese. Nel frattempo, se volete accompagnare le poche note che scriverò con delle immagini, QUI potrete trovare un album fotografico del viaggio.
La prima tappa del nostro itinerario è Cambridge, e la sua celeberrima università. La cittadina appare subito bella frizzante, con un sacco di giovani per strada (per lo più turisti, un sacco di italiani e gli immancabili giapponesi intruppati con guida munita di ombrellino e macchina fotografica regolamentare al collo) ed un bel parco piuttosto frequentato.
Dei 31 College che compongono l’università, si distingue tra tutti l’imponente King’s College con annessa Cappella. Una costruzione che mette soggezione solo a guardarla. Frequentare l’università lì deve avere un fascino particolare, al di là della fama accademica.
Dribblati i venditori di “gite in barca sul fiume” che sembrano più numerosi dei testimoni di Geova la domenica mattina, facciamo un rapido giro nel centro storico di Cambridge constatando che, tutto sommato, oltre l’università non è che ci sia poi molto altro da vedere.
Dopo lo stop notturno ad Hungtindon, ci dirigiamo verso Nottingham per poi puntare verso Sheffield per la serata. Arrivando nella città di Robin Hood scorgiamo immediatamente quella che sarà la meta pomeridiana, il City Ground, ma la mattinata è dedicata ad una breve visita della città e del suo centro storico.
La prima cosa di cui ci rendiamo conto è che Nottingham è una città dai due volti (vi risparmio lo stereotipo delle “mille contraddizioni”). Parcheggiamo dalle parti del lungo fiume, in una zona piuttosto squallida e spettrale, con grosse costruzioni in mattoni che sembrano capannoni semi abbandonati, e ci avviamo verso il vicino centro commerciale alla ricerca di una farmacia per cercare di tamponare la tonsillite ricevuta come gentile omaggio da Ryanair. Il centro commerciale ha due ingressi, ed uscendo dalla parte opposta da quella da cui siamo entrati, ci immettiamo in quella che sembra essere un’altra città. Zona pedonale, negozi, un sacco di gente in movimento, ed improvvisamente l’apparente spettralità del luogo scompare.
Un giro nel quartiere centrale ci rivela invece una città molto vitale, piuttosto lontana dalle disarmanti descrizioni di chi me ne aveva parlato (male) in passato. Ci sono diversi cantieri e tutto ha un aspetto piuttosto moderno e recente, per cui può anche darsi che Nottingham sia nel bel mezzo di una trasformazione che, a vedere i primi risultati, sembra avvenire  piuttosto bene.
L’unica pecca è la segnaletica. La colpa è soprattutto mia che non mi sono preparato prima in maniera adeguata, pensando che un’attrazione turistica come il Castello di Nottingham sarebbe stato facile da raggiungere. Invece, ahimè, non è stato proprio così. Dopo aver consultato un paio di cartine, aver ricevuto le gentili indicazioni di una signora che ci ha spiegato la strada dicendo “è là in fondo” (che mi ha fatto ricordare i suggerimenti su come interpretare le indicazioni stradali degli irlandesi), aver fatto un po’ di strada avanti ed indietro, abbiamo alla fine rinunciato, preferendo andare a pranzo piuttosto che continuare a girovagare alla cieca alla ricerca di uno sputo di cartello che ci desse qualche indicazione. In questo frangente si è palesato un aspetto negativo del cambio di gestore telefonico da 3 a Fastweb, che non ha la comodissima opzione “All’estero come a casa” per la connessione dati. Non poter consultare Google Maps ha dato la botta decisiva alla decisione di “sospendere le ricerche” del Castello.
Ancora oggi, comunque, non mi capacito di come, guardando la cartina a posteriori, fossimo tanto vicini e non se ne vedesse l’ombra.
Saziato l’appetito in un TGIF praticamente deserto, ci siamo diretto oltre il fiume Trent, per il primo dei tanti pellegrinaggi previsti da questo viaggio: il City Ground.
La mia passione per il Nottingham Forest risale al 1978 quando, leggendo il Guerin Sportivo, rimasi affascinato dalla fantastica cavalcata di una squadra neopromossa in First Division (non si chiamava ancora Premier) che alla fine vinse il campionato con diversi punti di vantaggio sul Liverpool e perdendo tre sole  partite, iniziando un’epopea che portò anche due Coppe Campioni. Ora il Forest naviga a metà classifica della Championship (la nostra serie B) dopo aver passato diverse stagioni nella League One (Serie C), ma la passione per i Reds è rimasta intatta. Calcolando, poi, che ovunque vada io voglio vedere lo stadio della città che visito, andare al City Ground era praticamente un obbligo (e non ringrazierò mai abbastanza Monica per avere pianificato questa deviazione sul programma originario che non includeva Nottingham…).
Non è come andare allo stadio del Barcellona o del Liverpool, o del Chelsea. Non ci sono tour guidati. C’è il negozio ufficiale della squadra, dove fa bella mostra una replica di una delle due Coppe Campioni vinte, e dove si può trovare qualsiasi cosa marcata Forest, e c’è lo stadio. Aperto, non blindato come molti altri. Una rapida visita alla segreteria mi dà il permesso di visitare il campo e le tribune e finalmente sono lì, dove i Reds giocano le loro partite. Seduto su un seggiolino, affacciato al prato dove il giardiniere sta effettuando il taglio dell’erba. Il classico stadio inglese dei miei sogni, a mezzo metro dai giocatori, senza alcuna barriera. Sembra di sentire il Trent End cantare, e nonostante sia pieno giorno, ci sia il sole e ci siano 24 gradi, mi immagino gli spalti gremiti in una fredda serata di novembre, con la nebbia che sale dal fiume dietro le tribune, con i lampioni accesi e le maglie rosse che corrono dappertutto spinti dalla folla che non smette un attimo di incitarli.
Ad un certo punto mi risveglio… è ora di andare.
Lasciamo la zona degli stadi (dall’altra parte del fiume si vede lo stadio del Notts County, e di fianco a quello del Forest c’è lo stadio del Cricket), e ci dirigiamo verso Sheffield, dove arriviamo nel tardo pomeriggio.
Ci lasciamo alle spalle Nottingham, con una domanda: ma Robin Hood?!? Nemmeno una traccia in tutta la città, nemmeno nei negozi di souvenir. Ma è una cosa di cui avremo modo di parlare quando arriveremo a Liverpool, nella prossima puntata.

lunedì 3 agosto 2015

Inghilterra 2015: appunti di viaggio / 1

Dopo Scozia ed Irlanda, per le vacanze di quest’anno abbiamo deciso di puntare ancora verso la Gran Bretagna, focalizzando la nostra attenzione sull’Inghilterra centrale e meridionale.
Evitata Londra, già vista e rivista e meta del pellegrinaggio annuale alla mecca di Wembley per la partita NFL al quale quest’anno parteciperà per la prima volta anche l’ex piccoletto, abbiamo messo giù un programma di viaggio che prevedeva di toccare alcune mete interessanti: Cambridge, Nottingham, Sheffield, Liverpool, Birmingham, Tanworth-in-Arden, Salisbury, Canterbury e Dover.
Memore delle esperienze precedenti, questa volta ho optato per il noleggio di una macchina con cambio automatico, e devo dire che, nonostante il prezzo superiore, la scelta si è rivelata più che azzeccata. L’intenso traffico trovato in numerose volte in autostrada è stato sopportato più facilmente senza dover pensare al cambio con la sinistra, vera croce dei miei due precedenti tentativi di guida dalla parte sbagliata.
Dopo aver cercato di fare desistere il solerte impiegato dell’agenzia di noleggio dal convincermi che avrei avuto bisogno di una macchina più grande e diesel (una scelta davvero intelligente, in un paese dove il Diesel costa più della benzina…) per “sole” settanta sterline in più al giorno ridotte fino a 35 dopo una serie estenuante di “No, grazie”, finalmente mi viene consegnata la splendida Mazda 3 che ci farà compagnia per questa settimana. A differenza della soporifera Toyota dello scorso anno in Irlanda, questa Mazda si rivela un’ottima vettura sotto tutti i punti di vista, e le quasi mille miglia che percorreremo voleranno via senza problemi (traffico a parte, ovviamente, ma quello non è certo colpa della vettura).
Prima di addentrarmi nel racconto vero e proprio del viaggio, mi permetto di fare due considerazioni di fondo.
La prima riguarda il sistema sanitario britannico. Grazie alla simpatica collaborazione di Ryanair, che ha tenuto la temperatura dell’aereo durante il volo di andata a livello “Ibernazione rapida”, Monica si è ritrovata con una bella tonsillite acuta al primo giorno di vacanza. Potrete immaginare la nostra gioia (soprattutto la sua…).
In farmacia le hanno dato del paracetamolo ed un misterioso farmaco che avrebbe dovuto, nelle intenzioni della farmacista, anestetizzare la parte dolente ma che, in realtà, non ha prodotto alcun effetto. Alla richiesta di un antibiotico, la risposta è ovviamente stata che per quel tipo di farmaci era necessaria una prescrizione medica.
Bene… siamo nel 2015, Europa Unita, tecnologia, cazzi e mazzi. E infatti sono cazzi…
Fatta inviare dal medico tramite e-mail una ricetta per un antibiotico, l’inflessibile farmacista non ha fatto una piega (per forza… è inflessibile!!!) ed ha detto che non poteva accettarla in quanto non originale. A nulla è valso fargli vedere sul telefono la mail inviata la mattina stessa. Si è reso quindi necessario fare la conoscenza con il sistema sanitario inglese, il che ha significato andare a cercare un NHS (una sorta di ambulatorio pubblico), farsi visitare da un medico che ha accertato la tonsillite e prescritto l’agognato antibiotico. Con la ricetta originale, siamo tornati in farmacia dove finalmente ci sono stati consegnati i medicinali, non senza mille raccomandazioni sulla posologia perché “sa… è un antibiotico”. E sti cazzi, mi veniva da dire… lo tenete in cassaforte manco fosse oro!!!
Nonostante tutto, però, il tutto è stato piuttosto efficiente e, nel limite del possibile, rapido. Gratuita la visita, ma le medicine ce le siamo dovute pagare. Inutile dire che della “Tessera Sanitaria Europea” non hanno nemmeno voluto sentire parlare. Come sempre i britannici sono in Europa, ma meno degli altri.
La seconda considerazione riguarda invece il viaggio in auto vero e proprio. Non mi sto a soffermare sulla cortesia generalizzata del guidatore britannico che ti fa pensare di vivere in un mondo di buzzurri, in Italia. Addirittura in autostrada ho messo la freccia per sorpassare, e sulla corsia di sorpasso c’era una vettura che sopraggiungeva, la quale ha rallentato, mi ha fatto i fari per permettermi di effettuare il sorpasso e, quando sono rientrato, mi ha tranquillamente superato riprendendo la sua velocità originaria. Uguale uguale alle autostrade italiche.
La cosa che mi ha maggiormente colpito in questo viaggio è il grandissimo numero di telecamere ed autovelox installati sulle strade britanniche. In autostrada, addirittura, ci sono interi tratti a velocità variabile dove il limite di velocità cambia a seconda delle condizioni di traffico ed è chiaramente indicato su dei tabelloni luminosi posti all’incirca ogni uno o due miglia e dotati di autovelox per controllare che gli automobilisti non superino la velocità indicata.
Mi immagino una cosa simile nel nostro paese. Panico totale, isteria generale, accuse di “Grandefratellismo”, attentato alla libertà di andare ai mille all’ora, accuse di “fare cassa”. Un sistema del genere durerebbe mano di una settimana, abbattuto da una selva di sentenze di tribunali locali, ricorsi delle associazioni di qualsiasi tipo ed infine dalle solite e scontate interrogazioni parlamentari.
Eppure lì funziona, ed anche bene. Sono proprio strani questi inglesi…
Arrivederci al prossimo post, con l’inizio del viaggio vero e propri