Saliamo sulla nostra splendida Mazda 3 nera ed iniziamo il
tour inglese. Nel frattempo, se volete accompagnare le poche note che scriverò
con delle immagini, QUI potrete trovare un album fotografico del viaggio.
La prima tappa del nostro itinerario è Cambridge, e la sua
celeberrima università. La cittadina appare subito bella frizzante, con un
sacco di giovani per strada (per lo più turisti, un sacco di italiani e gli
immancabili giapponesi intruppati con guida munita di ombrellino e macchina
fotografica regolamentare al collo) ed un bel parco piuttosto frequentato.
Dei 31 College che compongono l’università, si distingue tra
tutti l’imponente King’s College con annessa Cappella. Una costruzione che
mette soggezione solo a guardarla. Frequentare l’università lì deve avere un
fascino particolare, al di là della fama accademica.
Dribblati i venditori di “gite in barca sul fiume” che
sembrano più numerosi dei testimoni di Geova la domenica mattina, facciamo un
rapido giro nel centro storico di Cambridge constatando che, tutto sommato,
oltre l’università non è che ci sia poi molto altro da vedere.
Dopo lo stop notturno ad Hungtindon, ci dirigiamo verso
Nottingham per poi puntare verso Sheffield per la serata. Arrivando nella città
di Robin Hood scorgiamo immediatamente quella che sarà la meta pomeridiana, il
City Ground, ma la mattinata è dedicata ad una breve visita della città e del
suo centro storico.
La prima cosa di cui ci rendiamo conto è che Nottingham è
una città dai due volti (vi risparmio lo stereotipo delle “mille contraddizioni”).
Parcheggiamo dalle parti del lungo fiume, in una zona piuttosto squallida e
spettrale, con grosse costruzioni in mattoni che sembrano capannoni semi
abbandonati, e ci avviamo verso il vicino centro commerciale alla ricerca di
una farmacia per cercare di tamponare la tonsillite ricevuta come gentile
omaggio da Ryanair. Il centro commerciale ha due ingressi, ed uscendo dalla
parte opposta da quella da cui siamo entrati, ci immettiamo in quella che
sembra essere un’altra città. Zona pedonale, negozi, un sacco di gente in
movimento, ed improvvisamente l’apparente spettralità del luogo scompare.
Un giro nel quartiere centrale ci rivela invece una città
molto vitale, piuttosto lontana dalle disarmanti descrizioni di chi me ne aveva
parlato (male) in passato. Ci sono diversi cantieri e tutto ha un aspetto
piuttosto moderno e recente, per cui può anche darsi che Nottingham sia nel bel
mezzo di una trasformazione che, a vedere i primi risultati, sembra avvenire piuttosto bene.
L’unica pecca è la segnaletica. La colpa è soprattutto mia
che non mi sono preparato prima in maniera adeguata, pensando che un’attrazione
turistica come il Castello di Nottingham sarebbe stato facile da raggiungere.
Invece, ahimè, non è stato proprio così. Dopo aver consultato un paio di cartine,
aver ricevuto le gentili indicazioni di una signora che ci ha spiegato la
strada dicendo “è là in fondo” (che mi ha fatto ricordare i suggerimenti su come
interpretare le indicazioni stradali degli irlandesi), aver fatto un po’ di
strada avanti ed indietro, abbiamo alla fine rinunciato, preferendo andare a
pranzo piuttosto che continuare a girovagare alla cieca alla ricerca di uno
sputo di cartello che ci desse qualche indicazione. In questo frangente si è
palesato un aspetto negativo del cambio di gestore telefonico da 3 a Fastweb,
che non ha la comodissima opzione “All’estero come a casa” per la connessione
dati. Non poter consultare Google Maps ha dato la botta decisiva alla decisione
di “sospendere le ricerche” del Castello.
Ancora oggi, comunque, non mi capacito di come, guardando la
cartina a posteriori, fossimo tanto vicini e non se ne vedesse l’ombra.
Saziato l’appetito in un TGIF praticamente deserto, ci
siamo diretto oltre il fiume Trent, per il primo dei tanti pellegrinaggi
previsti da questo viaggio: il City Ground.
La mia passione per il Nottingham Forest risale al 1978
quando, leggendo il Guerin Sportivo, rimasi affascinato dalla fantastica
cavalcata di una squadra neopromossa in First Division (non si chiamava ancora
Premier) che alla fine vinse il campionato con diversi punti di vantaggio sul Liverpool
e perdendo tre sole partite, iniziando
un’epopea che portò anche due Coppe Campioni. Ora il Forest naviga a metà
classifica della Championship (la nostra serie B) dopo aver passato diverse
stagioni nella League One (Serie C), ma la passione per i Reds è rimasta
intatta. Calcolando, poi, che ovunque vada io voglio vedere lo stadio della
città che visito, andare al City Ground era praticamente un obbligo (e non
ringrazierò mai abbastanza Monica per avere pianificato questa deviazione sul
programma originario che non includeva Nottingham…).
Non è come andare allo stadio del Barcellona o del
Liverpool, o del Chelsea. Non ci sono tour guidati. C’è il negozio ufficiale
della squadra, dove fa bella mostra una replica di una delle due Coppe Campioni
vinte, e dove si può trovare qualsiasi cosa marcata Forest, e c’è lo stadio.
Aperto, non blindato come molti altri. Una rapida visita alla segreteria mi dà
il permesso di visitare il campo e le tribune e finalmente sono lì, dove i Reds
giocano le loro partite. Seduto su un seggiolino, affacciato al prato dove il
giardiniere sta effettuando il taglio dell’erba. Il classico stadio inglese dei
miei sogni, a mezzo metro dai giocatori, senza alcuna barriera. Sembra di
sentire il Trent End cantare, e nonostante sia pieno giorno, ci sia il sole e
ci siano 24 gradi, mi immagino gli spalti gremiti in una fredda serata di novembre,
con la nebbia che sale dal fiume dietro le tribune, con i lampioni accesi e le
maglie rosse che corrono dappertutto spinti dalla folla che non smette un
attimo di incitarli.
Ad un certo punto mi risveglio… è ora di andare.
Lasciamo la zona degli stadi (dall’altra parte del fiume si
vede lo stadio del Notts County, e di fianco a quello del Forest c’è lo stadio
del Cricket), e ci dirigiamo verso Sheffield, dove arriviamo nel tardo pomeriggio.
Ci lasciamo alle spalle Nottingham, con una domanda: ma
Robin Hood?!? Nemmeno una traccia in tutta la città, nemmeno nei negozi di
souvenir. Ma è una cosa di cui avremo modo di parlare quando arriveremo a
Liverpool, nella prossima puntata.
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