lunedì 14 aprile 2014

Un esempio da seguire.

Il 15 aprile del 1989, in occasione della semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest che si disputava sul campo neutro di Sheffield versante Wednesday, si compì la più grande tragedia che il calcio inglese ricordi. Novantasei tifosi del Liverpool trovarono una tragica fine schiacciati ed asfissiati contro le reti di recinzione per l’enorme calca che si venne a creare nella tribuna riservata ai tifosi dei Reds a seguito di un sovraffollamento del settore (la facciamo breve e semplifichiamo tantissimo perché non sono le cause l’argomento principale di questo post).
Sui campi di tutta l’Inghilterra vi sono state delle celebrazioni particolari. Minuti di silenzio in cui non si sentiva volare una mosca. Partite iniziate con sette minuti di ritardo (quella partita, iniziata senza che nessuno si accorgesse di cosa stesse succedendo, fu sospesa al sesto minuto di gioco). 96 seggiolini lasciati vuoti nelle tribune di molti stadi.
La tragedia di Hillsborough è una tragedia di tutti, non solo dei tifosi del Liverpool (che comunque ne celebrano la ricorrenza puntualmente ogni anno con varie iniziative). Il calcio inglese si stringe unito attorno ai propri morti in una maniera che, come in altri campi e settori, noi italiani non riusciamo nemmeno lontanamente a pensare.
Sono nato e cresciuto nella città che ha subito le due più grandi tragedie sportive italiane: Superga e l’Heysel. Due tragedie molto lontane tra di esse, non solo temporalmente. Un aereo che si schianta su una collina a pochi minuti da casa portandosi via una delle più grandi squadre che il mondo abbia mai visto giocare, ma soprattutto il simbolo della rinascita italiana dopo la seconda guerra mondiale, motivo di orgoglio e vanto per ogni italiano, e trentanove tifosi attaccati da un’orda di hooligans ubriachi, calpestati, asfissiati dalla calca causata dal comprensibile fuggi-fuggi generale, condannati dalle fatiscenti strutture dello stadio e dall’inefficienza della polizia belga.
Due tragedie così lontane eppure accomunate dalla folle idiozia di chi le usa, profanando il nome e l’onore dei caduti, per irridere ed insultare l’avversario.
Quante volte ho visto i tifosi avversari mimare l’aeroplano con le braccia larghe, ho letto striscioni su schianti, voli e aerei, e quante volte ho sentito la “mia” curva (e tante altre) rivolgere a quella bianconera le canzoncine sull’Heysel, i “meno 39” e tutto il repertorio che accompagna queste indegne esibizioni.
Tutto questo stride notevolmente con quanto ho visto in questo weekend oltremanica, a conferma di quanto siamo distanti da loro milioni di anni luce dal punto di vista della cultura sportiva (e fosse solo quella…).
Nessuno ne esce bene, da noi: tifosi, società ed istituzioni. Per una società che onora la memoria dei propri caduti con una messa ogni anno alle 17 del 4 Maggio, c’è una Lega che non permette l’anticipo o il posticipo della partita di campionato permettendo alla squadra di partecipare, come sempre, alla commemorazione. C’è un comune che non si prende cura del retro basilica e della lapide, che sono agibili, fruibili ed in ordine solo grazie all’intervento volontario dei tifosi (e ringraziamo sempre quel tifoso di Roma che ha fatto installare a proprie spese l’illuminazione della lapide, utile soprattutto d’inverno quando fa buio presto, e ne paga la relativa bolletta della luce), e non sostiene adeguatamente il museo dedicato al Grande Torino, costretto ad un esilio fuori Torino, ospiti di un comune più comprensivo ed attento.
Per una tifoseria che chiede a gran voce una degna commemorazione dei trentanove caduti dell’Heysel c’è una società (forse ultimamente le cose sono un po’ migliorate, ammetto di non essere aggiornatissimo sul tema), che in occasione del ventennale della tragedia mandò di malavoglia e quasi di nascosto una corona di fiori da deporre sul luogo del misfatto e che non ha mai fatto più di tanto per celebrarne la memoria.
Qualche settimana fa il Museo della Memoria  e della Leggenda Granata e la Sala della Memoria Heysel hanno organizzato una mostra congiunta sulle due tragedie, per cercare di unire, pur nella loro diversità, la commemorazione di due eventi così tragici, tracciando (o almeno tentando di farlo) un percorso comune che portasse al superamento dell'insulto legato ai morti.
Dovrebbe essere automatico, non dovrebbero certo servire iniziative come questa, perchè i morti, di qualunque "colore" siano, non si toccano. Si rispettano e basta, ancor più quando si tratta di morti innocenti.
Beh, potete immaginare come sia finita. In tanti hanno apprezzato e visitato la mostra, ma in almeno altrettanti hanno parlato dei “nostri” e dei “loro” morti, hanno fatto distinguo, hanno riempito l’aria di “si però loro”.
Siamo ancora lontani… molto lontani.