Il 15 aprile del 1989, in occasione della semifinale di FA
Cup tra Liverpool e Nottingham Forest che si disputava sul campo neutro di
Sheffield versante Wednesday, si compì la più grande tragedia che il calcio
inglese ricordi. Novantasei tifosi del Liverpool trovarono una tragica fine
schiacciati ed asfissiati contro le reti di recinzione per l’enorme calca che
si venne a creare nella tribuna riservata ai tifosi dei Reds a seguito di un
sovraffollamento del settore (la facciamo breve e semplifichiamo tantissimo perché
non sono le cause l’argomento principale di questo post).
Sui campi di tutta l’Inghilterra vi sono state delle
celebrazioni particolari. Minuti di silenzio in cui non si sentiva volare una
mosca. Partite iniziate con sette minuti di ritardo (quella partita, iniziata
senza che nessuno si accorgesse di cosa stesse succedendo, fu sospesa al sesto
minuto di gioco). 96 seggiolini lasciati vuoti nelle tribune di molti stadi.
La tragedia di Hillsborough è una tragedia di tutti, non
solo dei tifosi del Liverpool (che comunque ne celebrano la ricorrenza
puntualmente ogni anno con varie iniziative). Il calcio inglese si stringe
unito attorno ai propri morti in una maniera che, come in altri campi e
settori, noi italiani non riusciamo nemmeno lontanamente a pensare.
Sono nato e cresciuto nella città che ha subito le due più
grandi tragedie sportive italiane: Superga e l’Heysel. Due tragedie molto
lontane tra di esse, non solo temporalmente. Un aereo che si schianta su una
collina a pochi minuti da casa portandosi via una delle più grandi squadre che
il mondo abbia mai visto giocare, ma soprattutto il simbolo della rinascita
italiana dopo la seconda guerra mondiale, motivo di orgoglio e vanto per ogni
italiano, e trentanove tifosi attaccati da un’orda di hooligans ubriachi,
calpestati, asfissiati dalla calca causata dal comprensibile fuggi-fuggi
generale, condannati dalle fatiscenti strutture dello stadio e dall’inefficienza
della polizia belga.
Due tragedie così lontane eppure accomunate dalla folle
idiozia di chi le usa, profanando il nome e l’onore dei caduti, per irridere ed
insultare l’avversario.
Quante volte ho visto i tifosi avversari mimare l’aeroplano
con le braccia larghe, ho letto striscioni su schianti, voli e aerei, e quante
volte ho sentito la “mia” curva (e tante altre) rivolgere a quella bianconera le
canzoncine sull’Heysel, i “meno 39” e tutto il repertorio che accompagna queste
indegne esibizioni.
Tutto questo stride notevolmente con quanto ho visto in
questo weekend oltremanica, a conferma di quanto siamo distanti da loro milioni
di anni luce dal punto di vista della cultura sportiva (e fosse solo quella…).
Nessuno ne esce bene, da noi: tifosi, società ed
istituzioni. Per una società che onora la memoria dei propri caduti con una
messa ogni anno alle 17 del 4 Maggio, c’è una Lega che non permette l’anticipo
o il posticipo della partita di campionato permettendo alla squadra di
partecipare, come sempre, alla commemorazione. C’è un comune che non si prende
cura del retro basilica e della lapide, che sono agibili, fruibili ed in ordine
solo grazie all’intervento volontario dei tifosi (e ringraziamo sempre quel
tifoso di Roma che ha fatto installare a proprie spese l’illuminazione della
lapide, utile soprattutto d’inverno quando fa buio presto, e ne paga la
relativa bolletta della luce), e non sostiene adeguatamente il museo dedicato
al Grande Torino, costretto ad un esilio fuori Torino, ospiti di un comune più
comprensivo ed attento.
Per una tifoseria che chiede a gran voce una degna
commemorazione dei trentanove caduti dell’Heysel c’è una società (forse
ultimamente le cose sono un po’ migliorate, ammetto di non essere
aggiornatissimo sul tema), che in occasione del ventennale della tragedia mandò
di malavoglia e quasi di nascosto una corona di fiori da deporre sul luogo del
misfatto e che non ha mai fatto più di tanto per celebrarne la memoria.
Qualche settimana fa il Museo della Memoria e della Leggenda Granata e la Sala della Memoria
Heysel hanno organizzato una mostra congiunta sulle due tragedie, per cercare
di unire, pur nella loro diversità, la commemorazione di due eventi così tragici, tracciando (o almeno tentando di farlo) un percorso comune che portasse al superamento dell'insulto legato ai morti.
Dovrebbe essere automatico, non dovrebbero certo servire iniziative come questa, perchè i morti, di qualunque "colore" siano, non si toccano. Si rispettano e basta, ancor più quando si tratta di morti innocenti.
Beh, potete immaginare come sia finita. In tanti hanno
apprezzato e visitato la mostra, ma in almeno altrettanti hanno parlato dei “nostri”
e dei “loro” morti, hanno fatto distinguo, hanno riempito l’aria di “si però
loro”.
Siamo ancora lontani… molto lontani.
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