Le quattro ore e mezza che ci separano dalla partita passano abbastanza in fretta, tra una chiacchiera con Massimo Oriani, giornalista della Gazzetta dello Sport mio vicino di posto e, con me, unico italiano presente in tribuna stampa, ed un paio di incursioni nei corridoi dello stadio, cercando di fare lo slalom tra la gente in fila per mangiare, per fare un giro turistico dell'impianto ed andare fino alla parete trasparente per ammirare il panorama. Non manca la classica puntatina in bagno per espletare le funzioni fisiologiche e scoprire che sopra gli orinatoi a muro sono installati dei televisori a led per far sì che nemmeno durante l’espletamento uno corra il rischio di perdersi un’azione importante della partita. Resta da capire in quanti, guardando lo schermo, perdano la mira e la facciano dappertutto. Sarà anche per questo che gli orinatoi sono più larghi ed alti della media a cui siamo abituati.
Ogni tanto cerco anche di fare quelle dirette Facebook promesse ai lettori di Huddle Magazine, ma la situazione del wi fi interno allo stadio è tragica. La rete viene utilizzata da tutti e quindi è presa d’assalto. Il risultato sono una banda ridotta e delle frequenti disconnessioni che mi impediscono anche solo di pensare di fare delle dirette di più di trenta secondi.
Man mano che l’orologio si avvicina alle 18 la tensione sale, e non solo per la partita, ma proprio per l’evento in sé. Gli spalti sono ancora mezzi vuoti, ma si riempiranno negli ultimi minuti, poco prima che Gladys Knight inizi a cantare l’inno americano.
Ed è in quel momento che, tutti in piedi, con la mano sul cuore ad ascoltare Star Spangled Banner, che l’emozione mi assale, perché quel particolare istante, visto e rivisto in televisione 38 volte, alla 39esima volta sono lì, dal vivo, a coronare un sogno che qualsiasi appassionato di football ha: vedere un Super Bowl dal vivo.
E’ vero, la partita si vede molto meglio in televisione, soprattutto con la tecnologia moderna, ma da buon appassionato di stadio, la partita dal vivo è tutta un’altra cosa, un’emozione che chi sta a casa non riesce a vivere ed a comprendere appieno, anche se la partita, come poi succederà, non è proprio una delle più spettacolari della storia. Essere in mezzo alla gente, soffrire, gioire, esultare ed imprecare assieme a loro è un’esperienza impareggiabile che nessuna trasmissione televisiva, anche quelle alla massima definizione, ti può dare. Il boato del pubblico alla ricezione di Gronkowski che prepara il touchdown decisivo, ma anche quello, più ridotto per ovvi motivi di disparità numerica, in occasione del field goal di Zuerlein che impatta momentaneamente lo score dopo tantissima fatica, ti entrano nelle ossa e ti lasciano un brivido dentro che durerà per molto tempo. In quel momento ti rendi conto di essere davvero parte dell’evento.
Devo ammetterlo: durante l’inno ho avuto un momento di reale commozione totalmente inaspettato. Vuoi l’emozione, vuoi la stanchezza, vuoi tutto il contorno, ma mentre una piccola lacrima sgorgava dal mio occhio destro, ho dovuto appoggiarmi al tavolo della postazione stampa per non afflosciarmi sul seggiolino come una pera cotta.
Come detto, la partita non è stata granché spettacolare, ma è stata comunque intensa, soprattutto per chi, come me, aveva un interesse specifico in una delle due squadre. Vedo anche, nella fila dietro alla mia, un paio di giornalisti che delle norme etiche se ne sono ampiamente fregati. Tappati dalla testa ai piedi con abbigliamento Patriots, urlano e sbraitano come tifosi normali. Mi sbaglierò, ma difficilmente riavranno un accredito per il prossimo Super Bowl.
Io, invece, sono stranamente tranquillo, anche quando vedo che la partita non si mette bene per i miei Rams. Commento con Oriani le azioni di gioco, il che mi aiuta a stemperare un po’ la tensione. Siamo su sponde opposte, ma anche lui si comporta in maniera impeccabile, limitandosi a qualche “pugnetto” di esultanza molto discreto, in occasione di azioni favorevoli a New England.
Alla fine perdiamo, ma non sono arrabbiato più di tanto. Avevo patito molto di più la sconfitta del 2001, che ancora adesso non ho digerito del tutto. Oh, intendiamoci, non che fossi contento, eh? Del resto uscendo dallo stadio incrocio un tifoso dei Patriots esagitato che dà il cinque a tutti quelli che incontra, e quando tocca a me lui mi dà il cinque tutto esaltato gridando “Super Bowl Champs!!!”, ed io ricambio il suo cinque con un bel “Vaccagare coglione” di cui mi pento quasi subito. Del resto hanno vinto, cosa devono fare? Stare zitti e tornare a casa? E’ naturale che festeggino e siano esaltati.
Io invece saluto Oriani ed esco abbastanza in fretta dallo stadio dirigendomi verso la stazione della metro per raggiungere l’aeroporto. Mi aspetta un’altra notte sulle poltroncine del terminal, ed ho solo voglia di mettermi comodo da qualche parte, mangiare un boccone e scrivere gli articoli per la Gazzetta di Mantova, che martedì farà uscire un altro paginone a mia firma con il resoconto della partita e dell’halftime show. Già… l’Halftime Show. Al pari dell’inno, anche quello era un momento
sempre vissuto in televisione che invece aspettavo con ansia di vivere in diretta, ma la performance dei Maroon 5 più Travis Scott più Big Boi è stata talmente imbarazzante che, al di là delle comparse a bordo palco, sugli spalti quasi nessuno ha partecipato o applaudito all’esibizione. Un vero fiasco.
Passo i controlli, vado al terminal dal quale dovrebbe partire il mio volo il mattino successivo e, dopo aver cenato rapidamente, mi metto al lavoro sul tablet. Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Calata la tensione, mi arriva improvvisamente addosso tutta la stanchezza di questi due giorni, sommata alla notte in aeroporto a New York nella quale ho dormito a spizzichi e bocconi. Tra un abbiocco e l’altro, riesco a finire i pezzi che dovevo scrivere ed inviarli ad Alessandro (che dovrà correggere un paio di strafalcioni epocali…) e mi rimetto a dormire sui comodi (!!!) seggiolini del terminal South.
Il viaggio di ritorno include una tappa a Boston, e ciò significa che il volo da Atlanta, strapieno, comprenda 130 persone: 129 tifosi dei Patriots ed io. Che bella compagnia!!!
Il rientro si compie senza troppi intoppi, ma dura comunque due giorni tra Boston, Londra e Torino, ed alle 19:30 del martedì sono nuovamente a casa. Stanco morto ma felice. Un'altra voce dalla mia bucket list è stata depennata, e questa esperienza me la porterò nel cuore per sempre.
Non sono nemmeno troppo arrabbiato per la sconfitta: il fantastico viaggio ha ampiamente superato la delusione per il risultato, e comunque sono abbastanza convinto che questi Rams sono lì per restarci, e non torneranno nell’oblio tanto presto né tanto facilmente. Magari avrò nuove occasioni per replicare il viaggio, possibilmente con un po’ più di tranquillità per viaggio e pernottamenti e, magari, riuscendo a portare con me anche il resto della famiglia, che ho visto così contenta per me che mi è davvero dispiaciuto lasciarli a casa.
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