"Que sera sera / whatever will be will be / we're going to Wemberley / que sera sera". Uno dei canti storici delle tifoserie inglesi, per le quali "going to Wemberley" ha un significato di vittoria, di culmine di una stagione, di sogno che diventa realtà, perchè è a Wembley che si gioca, da sempre (eccetto quando era in ricostruzione, ovviamente), la finale della Coppa d'Inghilterra, il torneo più importante dell'Impero.
Lo scorso anno entrare a Wembley sulle gradinate fu un'emozione indescrivibile, ma calcarne il prato come ho potuto fare quest'anno non ha prezzo (come dice una famosa pubblicità di carte di credito).
Per un'attimo ho chiuso gli occhi ed immaginato le 90mila anime urlare all'unisono "come on England", o esultare per un goal, o "ugheggiare" (Pizzul cit.) per un goal sbagliato, un rinvio svirgolato, una papera del portiere. E mi sono venuti i brividi. Gli stessi brividi che mi sono venuti quando, dopo l'esecuzione di "Star Spangled Banner", tutto lo stadio ha accompagnato, con un notevole senso ritmico visto che l'inno era "interpretato", Joss Stone in un "God Save The Queen" che non può aver lasciato indifferente nessuno.
Poi c'e' stato tutto il resto, la partita bella ed emozionante tra Chargers e Saints, il freddo becco in tribuna stampa, dove credo abbiano creato delle correnti d'aria apposite per congelare i giornalisti, il ritorno con la truppa (intendo questa truppa di adorabili sciamannati).
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