Il masso su per la montagna dobbiamo spingerlo comunque. Facciamolo almeno col sorriso sulle labbra.
mercoledì 11 dicembre 2013
Ciao Peloso
giovedì 7 novembre 2013
Grazie Albert Camus
Era, allora, un'età in cui fare l'esistenzialista, l'impegnato, era quasi d'obbligo. Ascoltare certa musica, leggere certi libri, vedere certi film facevano parte del modo d'essere di una decina di squinternati del Liceo Scientifico Carlo Cattaneo (ex VIII) che sarebbero cresciuti nelle maniere più diverse, diventando in alcuni casi degli affermati manager di aziende importanti oppure, in altri, oscuri pigiatasti di una multinazionale che sta divorando un pezzo di storia torinese (ma questa, come ama dire Lucarelli, è un'altra storia).
L'uomo in rivolta, Lo straniero, La caduta, La Peste, tutti letti in lingua originale sulle sedie delle Tuileries subito dopo pranzo nella famosa estate del 1986, quando passai una delle più belle vacanze che io ricordi: un mese completamente da solo a Parigi. Io ed i miei fidati libri di Camus, acquistati tra le bancarelle di Gibert Jeune sul Boulevard Saint-Michel, prima di passare dal fido Gargantua ad acquistare la baguette che avrebbe costituito il mio pranzo per tutti i giorni della mia permanenza parigina.
Tra tutti, quel Mito di Sisifo, che catturò la mia attenzione. Che lessi in maniera vorace e rilessi immediatamente per capire meglio. Che raccontava la storia dell'uomo condannato dagli Dei a spingere un masso su per la montagna per poi vederlo rotolare a valle una volta raggiunta la cima, con la conseguente frustrazione di dover ricominciare tutto daccapo. Per l'eternità.
Per molto tempo questa metafora è stata parte integrante della mia vita, essendone la sintesi perfetta, e per molto tempo mi è rimasto ostico riuscire a comprendere la conclusione del saggio: bisogna immaginare Sisifo Felice. Poi, un giorno di metà Giugno di fine anni ‘90, improvvisamente mi è diventato tutto chiaro.
Ora Sisifo è felice.
Grazie Albert, e buon compleanno.
domenica 15 settembre 2013
L'importanza di chiamarsi Montolivo (e non Larrondo).
La palla finisce in fallo laterale, ma l'arbitro, vedendo Montolivo sofferente appoggiarsi sulle cosce, impedisce la rimessa e va personalmente a sincerarsi delle codizioni del giocatore. Appurato che si è infortunato, si incarica di segnalare alla panchina milanista che aspetterà il cambio prima di far riprendere il gioco, cosa che regolarmente avviene. Il Milan può continuare la sua azione d'attacco in 11vs11 con la rimessa in gioco.
Saltiamo ora ai minuti di recupero. Il risultato vede il Toro in vantaggio 2-1, e stanno per esaurirsi i minuti di recupero. In un'azione d'attacco Larrondo resta a terra infortunato, urlando "mi sono rotto, mi sono rotto" (si scoprirà in seguito che ha riportato la frattura di un piede).
L'arbitro lascia continuare il gioco, nonostante Larrondo chiaramente non sia in grado di rialzarsi autonomamente. La panchina del Toro, in ogni caso, prepara il cambio, e visto che gli sportivissimi milanisti si guardano bene dal buttare la palla fuori per consentire i soccorsi all'infortunato (cosa, peraltro, non obbligatoria, bisogna dire), aspettano che la palla finisca fuori per poter procedere al cambio. Nel mentre si difendono 11 vs 10.
La palla finisce infine fuori dal campo. Bene. Si può procedere con il cambio.
Nemmeno per idea. L'arbitro non si premura di impedire la rimessa per sincerarsi delle condizioni di Larrondo come aveva fatto con Montolivo alla fine del primo tempo, e Mexes non si lascia scappare l'occasione di battere la rimessa ugualmente, sempre in nome del fair play di cui tutti si riempiono la bocca, ma solo quando gira a loro favore.
Sull'azione seguente, Pasquale atterra in area di rigore Poli e l'arbitro concede la massima punizione. A quel punto, e solo a quel punto, Si dedica a Larrondo e consente la sostituzione al Toro.
Morale della favola: quando incontri una strisciata, la ladrata è assicurata.
lunedì 1 luglio 2013
Hasta la vista, Altavista
Per chi, come me, "surfa" sul web fin dal lontano 1993, quando come browser si usava Mosaic (che sarebbe divenuto Netscape), e la connessione si faceva tramite un modem 9600 (i più fortunati, io avevo un 2400) e con il mitico Trumpet Winsock, la notizia della chiusura di Altavista da parte di Yahoo, che ne aveva acquisito i diritti qualche tempo fa, non può passare inosservata.
Era un tempo in cui i siti web erano pochi e molto spartani, in cui i motori di ricerca erano pressochè inesistenti, ed il massimo che potevi avere a disposizione erano le cosiddette "listing directory", cioè nè più nè meno che una pagina html con una raccolta di link suddivisi per aree di interesse.
Qualcosa si mosse, in quegli anni, con progetti tipo Lycos, WebCrawler e W3Catalog, ma la vera svolta arrivò proprio con Altavista, per anni il miglior motore di ricerca disponibile.
Anzichè spulciare lunghe e disorganizzate directories piene di link spesso senza una descrizione, era ora possibile inserire una parola, o una serie di parole, in un form e ricevere come risposta un elenco di link più o meno pertinenti che contenevano quelle parole.
E' buffo, oggi, provare a spiegare quale enorme passo avanti fu, a quell'epoca, Altavista, abituati come siamo al gigante Google che fa delle cose che nel 1993 uno non poteva nemmeno immaginare.
Altavista si contese il primato di miglior motore di ricerca con le creazioni successive, soprattutto AskJeeves, Inktomi e HotBot, ma a decretarne l'improvviso declino fu l'esordio di Google nel 1998.
Rimasi fedele ad Altavista per un paio di anni, per poi passare anch'io al "lato oscuro" di Google per "manifesta superiorità" di quest'ultimo.
Nel giorno in cui chiude Google Reader, leggere della prossima chiusura di Altavista riporta alla mente tanti ricordi di un'epoca informatica che sta rapidamente scomparendo.
venerdì 7 giugno 2013
Poeti in erba
giovedì 6 giugno 2013
Certezze invidiabili
E' notizia di questi giorni della morte del bambino di due anni dimenticato in auto dal padre, il quale è andato tranquillamente a lavorare senza averlo lasciato a scuola come al solito.
La notizia è di quelle che stringono il cuore, come tutte quelle che coinvolgono i bambini, ma ciò che mi ha sconcertato maggiormente è la reazione del classico "uomo della strada".
Ne ho sentite di tutti i colori, ho sentito ogni tipo di insulto nei confronti del padre, ogni tipo di pena (anche quella capitale) da infliggergli, e devo dire che la cosa mi ha provocato un fortissimo disagio.
Vi racconterò un episodio accadutomi qualche anno fa, quando portavo tutte le mattine mio figlio all'asilo e tutte le mattine per poi andarlo a riprendere alla sera. Così, ogni giorno della settimana lavorativa per quattro anni.
Ho uno splendido ricordo di quel doppio viaggio giornaliero. Mio figlio è sempre stato molto "ciarliero", e non c'è mai stato pericolo di annoiarsi durante i quindici minuti del breve tragitto casa/asilo/casa. Ricordo ancora un periodo in cui tutti i giorni facevamo andata e ritorno cantando insieme "La fiera dell'Est".
Ad ogni modo, non è questo il punto. Il punto è che un giorno l'asilo è finito, ed il primo giorno successivo alla fine dell'anno scolastico ho preso la mia bella macchinina, ho fatto la solita strada, sono arrivato fin davanti al portone dell'asilo ed ho spento il motore. Solo al momento di scendere dalla macchina per accompagnare mio figlio all'asilo, mi sono reso conto che non c'era nessuno da accompagnare perchè era finito la scuola e, ovviamente, mio figlio non era in macchina con me.
La situazione è decisamente diversa da quella del padre di Piacenza, ma quello che voglio dire è che a volte la nostra mente si comporta in maniera del tutto imprevedibile, arrivando a convincerti anche delle cose che non sono. E' terribile, angosciante e tremendo, ma "dimenticarsi" il figlio in macchina essendo convinti di averlo portato a scuola come tutti i giorni è assolutamente possibile, per quanto fortunatamente raro che accada.
Non è un modo per scagionare o giustificare il padre, ovviamente. Ha le sue responsabilità. Ma mi piace guardare la vicenda anche dal suo punto di vista.
Quel pover'uomo ha un fardello pesantissimo da portare fino alla fine dei suoi giorni, perchè quello che ha fatto, sebbene inconsciamente, credo sia davvero difficile da superare. E' difficile anche solo immaginare come si possa sentire in questo momento.
E tutti voi che vivete pieni di certezze, sicuri che "a voi non potrebbe capitare", che "per quelli come lui ci vorrebbe la pena di morte", che "come si fa a non curarsi dei propri figli", beh... vi invidio.
Davvero.
Vi invidio perchè mi piacerebbe avere anche solo la metà delle vostre granitiche certezze, mentre mi ritrovo ad essere continuamente assalito da dubbi ed esitazioni, nella vita.
O forse no. Non vi invidio per niente...
domenica 3 febbraio 2013
Il problema siamo noi
giovedì 31 gennaio 2013
Uozzaaaaap!!!!
"ATTENZIONE!!! Dopo la fine del 2012, a partire dal lunedì della prima settimana di gennaio 2013, whatsapp sarà a pagamento al costo di 5 cent. a messaggio. L'attivazione di questa funzione potrà essere annullata spedendo questo messaggio ad almeno 8 contatti. Attenzione questa volta non è una bufala ma un messaggio vero e chiaro, pertanto si potrà consultare il sito principale di whatsapp dove sono riportate le stesse identiche cose scritte qui".
Ho ricevuto questo messaggio da almeno quattro contatti whatsapp a Dicembre (ma potrebbero essere di più, vado a memoria...), e mi è tornato in mente proprio oggi, a causa delle polemiche che stanno allargandosi a macchia d'olio sulla presunta trasformazione di whatsapp in applicazione a pagamento.
Tra l'altro il messaggio riportato in testa al post viene spesso preso a riferimento dai boccaloni di professione che ora tentano di prendersi la loro rivincita affermando che "era vero quello che si scriveva, non era una bufala come dicevate voi".
Ora, al di là che i termini della questione sono diversi (5 cent a messaggio contro 0,79 cent annuali, il primo lunedì di Gennaio contro un anno dalla prima installazione, tanto per citare le due maggiori discrepanze tra bufala annunciata e realtà), tutto il polverone che si sta alzando in questi giorni significa una cosa sola: il 90% delle persone non legge le condizioni d'uso, nemmeno quando sono chiare ed evidenti e non nascoste in note minuscole, e non controlla quello che amplifica a sproposito, nemmeno quando basterebbe andare a verificare se davvero sul "sito principale di whatsapp sono riportate le stesse identiche cose scritte qui" (il che, ovviamente, non è vero).
Al termine dell'installazione di whatsapp, almeno nella versione Android, viene specificato chiaramente che il servizio è gratuito per un anno, dopodiché bisognerà pagare un canone annuo. Il fato che questo anno di gratuità sia stato esteso almeno un paio di volte in occasione di aggiornamenti e/o reinstallazioni, non significa che le condizioni d'uso prevedessero un utilizzo gratuito all'infinito dell'applicazione. Bastava leggere.
Eh... hai detto niente!!!
sabato 12 gennaio 2013
Le figu
E si giocava, si scambiavano le doppie, si prendevano magari altre doppie che però si sapevano essere utili a qualcun altro che aveva la figurina "difficile" che cercavi da tempo. E Pulici non lo scambiavo mai. Nemmeno se ne avevo tre o quattro, nemmeno se mi offrivano quelle che mi mancavano. Pulici, semplicemente, non era mai nel mazzo delle doppie, nè in quello da giocare, con il rischio di perderlo.
"Quante ne vuoi per Pulici?"
"Non ti bastano quelle che hai"
"Ne posso avere altre"
"Non ti basteranno mai".
Ed ogni volta che si parla di figu, non posso non pensare alla figurina raffigurata qui a fianco: Stanislao Bozzi, riserva del Torino. Ho inseguito questa figurina per mesi e mesi per completare il Torino nell'album 1970/71. Una figurina splendida, con il campo adiacente al Fila, quello su cui spesso si allenava la Primavera, innevato, una caratteristica che mi ha aiutato ad avere sempre un'immagine chiara e precisa di questa figurina ed a ricordare il nome di questo ennesimo carneade granata (3 presenze e zero gol nel Toro in tre anni).