Cento anni fa, oggi, nasceva Albert Camus. Credo sia inutile, dato il nome che questo blog porta, rimarcare l'importanza che questo scrittore/filosofo francese originario di Mondovì (no, non quella della Provincia Granda) abbia avuto nella mia vita. Nella mio passaggio dall'adolescenza all'età adulta, oserei dire, perchè incontrai Camus durante gli anni del liceo, prima grazie alla biografia di Nick Drake, che lasciò, nel giorno della sua morte, un disco dei Concerti Brandeburghesi di Bach sul giradischi ed una copia del Mito di Sisifo di Albert Camus sul comodino, e poi grazie alla supplente di francese della quinta liceo, che me lo fece amare trattandolo e spiegandolo in maniera esemplare.
Era, allora, un'età in cui fare l'esistenzialista, l'impegnato, era quasi d'obbligo. Ascoltare certa musica, leggere certi libri, vedere certi film facevano parte del modo d'essere di una decina di squinternati del Liceo Scientifico Carlo Cattaneo (ex VIII) che sarebbero cresciuti nelle maniere più diverse, diventando in alcuni casi degli affermati manager di aziende importanti oppure, in altri, oscuri pigiatasti di una multinazionale che sta divorando un pezzo di storia torinese (ma questa, come ama dire Lucarelli, è un'altra storia).
L'uomo in rivolta, Lo straniero, La caduta, La Peste, tutti letti in lingua originale sulle sedie delle Tuileries subito dopo pranzo nella famosa estate del 1986, quando passai una delle più belle vacanze che io ricordi: un mese completamente da solo a Parigi. Io ed i miei fidati libri di Camus, acquistati tra le bancarelle di Gibert Jeune sul Boulevard Saint-Michel, prima di passare dal fido Gargantua ad acquistare la baguette che avrebbe costituito il mio pranzo per tutti i giorni della mia permanenza parigina.
Tra tutti, quel Mito di Sisifo, che catturò la mia attenzione. Che lessi in maniera vorace e rilessi immediatamente per capire meglio. Che raccontava la storia dell'uomo condannato dagli Dei a spingere un masso su per la montagna per poi vederlo rotolare a valle una volta raggiunta la cima, con la conseguente frustrazione di dover ricominciare tutto daccapo. Per l'eternità.
Per molto tempo questa metafora è stata parte integrante della mia vita, essendone la sintesi perfetta, e per molto tempo mi è rimasto ostico riuscire a comprendere la conclusione del saggio: bisogna immaginare Sisifo Felice. Poi, un giorno di metà Giugno di fine anni ‘90, improvvisamente mi è diventato tutto chiaro.
Ora Sisifo è felice.
Grazie Albert, e buon compleanno.
Era, allora, un'età in cui fare l'esistenzialista, l'impegnato, era quasi d'obbligo. Ascoltare certa musica, leggere certi libri, vedere certi film facevano parte del modo d'essere di una decina di squinternati del Liceo Scientifico Carlo Cattaneo (ex VIII) che sarebbero cresciuti nelle maniere più diverse, diventando in alcuni casi degli affermati manager di aziende importanti oppure, in altri, oscuri pigiatasti di una multinazionale che sta divorando un pezzo di storia torinese (ma questa, come ama dire Lucarelli, è un'altra storia).
L'uomo in rivolta, Lo straniero, La caduta, La Peste, tutti letti in lingua originale sulle sedie delle Tuileries subito dopo pranzo nella famosa estate del 1986, quando passai una delle più belle vacanze che io ricordi: un mese completamente da solo a Parigi. Io ed i miei fidati libri di Camus, acquistati tra le bancarelle di Gibert Jeune sul Boulevard Saint-Michel, prima di passare dal fido Gargantua ad acquistare la baguette che avrebbe costituito il mio pranzo per tutti i giorni della mia permanenza parigina.
Tra tutti, quel Mito di Sisifo, che catturò la mia attenzione. Che lessi in maniera vorace e rilessi immediatamente per capire meglio. Che raccontava la storia dell'uomo condannato dagli Dei a spingere un masso su per la montagna per poi vederlo rotolare a valle una volta raggiunta la cima, con la conseguente frustrazione di dover ricominciare tutto daccapo. Per l'eternità.
Per molto tempo questa metafora è stata parte integrante della mia vita, essendone la sintesi perfetta, e per molto tempo mi è rimasto ostico riuscire a comprendere la conclusione del saggio: bisogna immaginare Sisifo Felice. Poi, un giorno di metà Giugno di fine anni ‘90, improvvisamente mi è diventato tutto chiaro.
Ora Sisifo è felice.
Grazie Albert, e buon compleanno.