L'ultima volta che ero stato a Barcellona era il 1993, in occasione dell'American Bowl tra Niners e Steelers, ma quella volta vidi praticamente solo il Montjuic e tutta la serie di autostrade, superstrade e tangenziali che la fanno sembrare molto simile ad una metropoli USA. In realtà, quindi, mancavo da Barcellona dal lontano 1984, quando una serie di accadimenti mi portarono nella città catalana invece che a Londra come avrei dovuto.
Allora l'impatto con la città fu tremendo.Una stazione ferroviaria sporca e dall'aspetto diroccato, le Ramblas piene di gentaglia che offriva droga e "chiedeva" portafogli, un vecchietto che mi sputò addosso tentando di trafiggermi un piede con il bastone dell'ombrellone, urlandomi dietro qualcosa per motivi che ancora oggi non conosco, un albergo che si rivelò un bordello vero e proprio con conseguente notte passata dormendo sulla poltrona che trovai in camera, non fidandomi di quelle strane chiazze giallastre che punteggiavano delle lenzuola che forse vent'anni prima erano state bianche.
L'impatto con Barcellona un quarto di secolo dopo è stato completamente differente. Ho trovato una città moderna senza rinunciare al passato ed alla storia, fin troppo accogliente, con le Ramblas invase da una marea di gente tanto da scatenare la mia proverbiale fobia per i luoghi troppo affollati.
Barcellona è una città cara. Anzi. carissima. Due euro e cinquanta l'ora per un parcheggio in Plaza de Catalunya, 5 centesimi al minuto (cioe' TRE euro l'ora) in un'autorimessa privata trasformata in parking a pagamento nei pressi della Sagrada Familia. Per non parlare dei prezzi dei ristoranti e, perchè no, dei diciannove euro diciannove che ti chiedono per il tour al CampNou, lo stadio del Barcellona.
A proposito, la visita al Camp Nou è stata davvero spettacolare (anche se continuo a ritenere un furto il prezzo del biglietto), ed ho anche avuto l'occasione di vedere dal vivo la mitica Coppa delle Fiere, che ancora mancava alla mia "collezione" (avevo gia' visto dal vivo le altre coppe europee in altri musei, Ajax su tutti) ed anche la Coppa Korac, senza dubbio una delle più belle coppe mai disegnate.
La città era impegnata nei preparativi per i campionati europei di Atletica Leggera che si sarebbero inaugurati da lì a due giorni, e soprattutto al Montjuic era tutto un brulicare di operai che montavano strutture provvisorie e tecnici che mettevano a punto le postazioni televisive, e la constatazione che il fortino del Montjuic ora si può raggiungere solamente più in teleferica ci ha fatto desistere dal visitarlo.
Per contro abbiamo potuto verificare con mano che la notizia dei mesi scorsi secondo la quale la Sagrada Familia era finalmente stata terminata, è una bufala clamorosa. La chiesa è ancora un cantiere con diverse gru, e saranno necessari almeno altri 15 anni per terminarla sul serio, ma se uno non avesse letto a fondo la notizia, avrebbe potuto pensare che la chiesa fosse realmente finita, il che era proprio quello che avevo capito io, ovviamente, avendo letto l'articolo in fretta e furia come purtroppo spesso mi capita.
Essendosi la nostra visita limitatata al Montjuic, alla Sagrada Familia, alle Ramblas ed al CampNou, gli appunti di viaggio relativi a Barcellona sono forzatamente limitati alle poche righe sin qui scritte, il che lascia spazio solo più alle considerazioni di carattere generale sul viaggio, che saranno oggetto dell'ultimo post dedicato a queste brevi, ma intense vacanze 2010.
Il masso su per la montagna dobbiamo spingerlo comunque. Facciamolo almeno col sorriso sulle labbra.
venerdì 30 luglio 2010
mercoledì 28 luglio 2010
Spagna 2010 - Appunti di viaggio / 2 - Valencia
Negli ultimi cinque/sei anni ho fatto del navigatore satellitare la mia guida primaria quando guido in posti poco o del tutto conosciuti. Una cosa che ho imparato è che, sempre e comunque, il navigatore ti porta a destinazione. Sulle strade che ti fa percorrere avrei un po' da ridire, ma indubbiamente il suo compito lo porta egregiamente a termine. Una cosa che ho imparato in questo viaggio, però, è che portarsi dietro una cartina stradale è sempre consigliato. A parte il fatto che il navigatore potrebbe rompersi, o potrebbero rubarvelo, o altro ancora, ma una cartina resta fondamentale per riprendere le redini del percorso che il navigatore calcola con il suo particolare criterio "più breve / più veloce" che spesso e volentieri finisce per diventare "più contorto".
Con una bella cartina a portata di mano, mi sarei infatti risparmiato l'assurdo giro in statale che ho dovuto fare tra Gap e Orange, invece di scendere dall'autostrada che passa per Sisteron, Manosque e Aix-en-Provence. Come detto, alla fine il navigatore ti porta a destinazione, ma quando siamo finalmente arrivati a Narbonne per la sosta intermedia con circa due ore di ritardo sulla tabella di marcia, l'avrei voluto mangiare...
Nota di servizio: solitamente non ho grosse esigenze per gli alberghi, ma il Campanile in cui sono stato a Narbonne è un qualcosa di inimmaginabile. La camera era già piccola per essere matrimoniale, ma una volta tirata fuori la brandina per Ricky, se qualcuno avesse dovuto andare in bagno durante la notte avrebbe dovuto camminare sui letti altrui. Per 90 euro a notte lo trovo un po' eccessivo.
Il giorno successivo, senza ulteriori problemi con il navigatore, siamo finalmente giunti a Valencia, la meta principale del nostro viaggio.
Sin dal primissimo approccio con la città siamo rimasti tutti favorevolmente colpiti da una città in cui sono evidentissime le trasformazioni recenti.
Scopo principale del viaggio era la visita alla Città delle Scienze ed all'Acquario Oceanografico che si trovano nella nuova zona verso il porto completamente ridisegnata grazie al progetto dell'architetto valenciano Calatrava.
Oltre alle architetture futuristiche (il museo di arte moderna, da me ribattezzato "La Cozza", L'Hemispheric, da me ribattezzato "Lo scarafaggio", Il palazzo della città della scienza, il complesso dell'acquario), tutta la zona è costituita da edifici residenziali nuovi di pacca, facendoti dimenticare di essere in una città dalla storia millenaria.
Il tutto è molto razionale e funzionale, con le strutture ed il parco che le ospita completamente a disposizione dei cittadini (faccio un esempio stupido: se sei nel parco e devi andare in bagno, puoi tranquillamente entrare in una di queste strutture ed usufruire dei servizi disponibili prima dell'entrata alla parte espositiva vera e propria).
Niente da dire sulle esposizioni vere e proprie: assolutamente coinvolgente la città della scienza, con una miriade di esperimenti a disposizione del pubblico per spiegare le cose più elementari alle quali non facciamo nemmeno caso nella vita reale. L'acquario compete alla pari con quello di Genova, in alcuni casi superandolo alla grande. Il tubo con gli squali è davvero impressionante.
Una giornata ci va tutta, per una visita approfondita della citta' della scienza con annesso ingresso al cinema a 360°, mentre per l'acquario una mezza giornata è più che sufficiente.
Un po' deludente la zona del porto, letteralmente trasformata dalle installazioni per l'America's Cup e per il Gran Premio di Formula 1, ma praticamente inaccessibile, fatta eccezione per un museo (gratuito) dell'America's Cup nel quale si possono vedere degli audiovisivi sulla storia della competizione.
Una caratteristica molto interessante di Valencia è il "fiume prosciugato" che taglia in due la città. Per centinaia di anni Valencia ha convissuto con il fiume Turia che scorreva al suo interno, in un connubio caratteristico di altre centinaia di città nel mondo (Torino ed il Po, Roma ed il Tevere, Parigi e la Senna, St.Louis ed il Mississippi, e via dicendo). Dopo la tragica alluvione del 1957, il Turia venne deviato a monte della città, ed il letto cittadino, prosciugato, venne trasformato in un immenso giardino ("Jardin del Turia"), in cui trovano sede diverse attività sportive (c'è persino uno stadio di rugby con tanto di quattro piloni angolari per i riflettori, e vi assicuro che vederli spuntare da dietro ad un ponte fa un certo effetto).
Addentrandosi nel centro storico, si ritorna nella normalità di una classica città spagnola, con la sua "Plaça del Ayuntamiento" e la sua "Plaza de Toros", in questo caso attaccata (letteralmente) ad una bellissima stazione in stile liberty. Di fronte alla Plaza de Toros, liberamente visitabile quando non c'è corrida (e quando c'è mi guardo bene dall'entrarci), parte la classica via pedonale turistico/commerciale dove i ristoranti che offrono la classica Paella si accatastano uno sopra l'altro (non che siano migliaia, comunque), e attraverso la quale si raggiungono facilmente praticamente tutti i luoghi turisticamente interessanti, dalla cattedrale, al mercato generale (anch'esso in stile liberty e con una cupola centrale notevole). Il centro turisticamente interessante di Valencia è molto raccolto e facilmente visitabile a piedi dopo averlo raggiunto con un mezzo pubblico (non li ho usati, quindi non posso dire come siano) o in auto (da lasciare in uno dei millemila parcheggi a carissimo pagamento).
Se si escludono le attrazioni della parte nuova (la zona "Calatrava" per intenderci), Valencia è una abbordabilissima meta da un weekend, durante il quale si possono vedere i 3/4 delle cose interessanti che la città offre.
Girarla in auto è abbastanza semplice, grazie alla viabilità che ha fatto dei sensi unici anche per i viali a quattro/cinque corsie la propria filosofia principale, e sono presenti un paio di linee della metropolitana, che serve soprattutto la zona centrale.
Il caldo si fa sentire, ma come ogni buona città di mare che si rispetti, una buona ventilazione riesce a tenere bassa l'umidità abbassando anche il calore percepito.
In definitiva una promozione piena per una città sulla quale non avevo particolari aspettative positive.
Con una bella cartina a portata di mano, mi sarei infatti risparmiato l'assurdo giro in statale che ho dovuto fare tra Gap e Orange, invece di scendere dall'autostrada che passa per Sisteron, Manosque e Aix-en-Provence. Come detto, alla fine il navigatore ti porta a destinazione, ma quando siamo finalmente arrivati a Narbonne per la sosta intermedia con circa due ore di ritardo sulla tabella di marcia, l'avrei voluto mangiare...
Nota di servizio: solitamente non ho grosse esigenze per gli alberghi, ma il Campanile in cui sono stato a Narbonne è un qualcosa di inimmaginabile. La camera era già piccola per essere matrimoniale, ma una volta tirata fuori la brandina per Ricky, se qualcuno avesse dovuto andare in bagno durante la notte avrebbe dovuto camminare sui letti altrui. Per 90 euro a notte lo trovo un po' eccessivo.
Il giorno successivo, senza ulteriori problemi con il navigatore, siamo finalmente giunti a Valencia, la meta principale del nostro viaggio.
Sin dal primissimo approccio con la città siamo rimasti tutti favorevolmente colpiti da una città in cui sono evidentissime le trasformazioni recenti.
Scopo principale del viaggio era la visita alla Città delle Scienze ed all'Acquario Oceanografico che si trovano nella nuova zona verso il porto completamente ridisegnata grazie al progetto dell'architetto valenciano Calatrava.
Oltre alle architetture futuristiche (il museo di arte moderna, da me ribattezzato "La Cozza", L'Hemispheric, da me ribattezzato "Lo scarafaggio", Il palazzo della città della scienza, il complesso dell'acquario), tutta la zona è costituita da edifici residenziali nuovi di pacca, facendoti dimenticare di essere in una città dalla storia millenaria.
Il tutto è molto razionale e funzionale, con le strutture ed il parco che le ospita completamente a disposizione dei cittadini (faccio un esempio stupido: se sei nel parco e devi andare in bagno, puoi tranquillamente entrare in una di queste strutture ed usufruire dei servizi disponibili prima dell'entrata alla parte espositiva vera e propria).
Niente da dire sulle esposizioni vere e proprie: assolutamente coinvolgente la città della scienza, con una miriade di esperimenti a disposizione del pubblico per spiegare le cose più elementari alle quali non facciamo nemmeno caso nella vita reale. L'acquario compete alla pari con quello di Genova, in alcuni casi superandolo alla grande. Il tubo con gli squali è davvero impressionante.
Una giornata ci va tutta, per una visita approfondita della citta' della scienza con annesso ingresso al cinema a 360°, mentre per l'acquario una mezza giornata è più che sufficiente.
Un po' deludente la zona del porto, letteralmente trasformata dalle installazioni per l'America's Cup e per il Gran Premio di Formula 1, ma praticamente inaccessibile, fatta eccezione per un museo (gratuito) dell'America's Cup nel quale si possono vedere degli audiovisivi sulla storia della competizione.
Una caratteristica molto interessante di Valencia è il "fiume prosciugato" che taglia in due la città. Per centinaia di anni Valencia ha convissuto con il fiume Turia che scorreva al suo interno, in un connubio caratteristico di altre centinaia di città nel mondo (Torino ed il Po, Roma ed il Tevere, Parigi e la Senna, St.Louis ed il Mississippi, e via dicendo). Dopo la tragica alluvione del 1957, il Turia venne deviato a monte della città, ed il letto cittadino, prosciugato, venne trasformato in un immenso giardino ("Jardin del Turia"), in cui trovano sede diverse attività sportive (c'è persino uno stadio di rugby con tanto di quattro piloni angolari per i riflettori, e vi assicuro che vederli spuntare da dietro ad un ponte fa un certo effetto).
Addentrandosi nel centro storico, si ritorna nella normalità di una classica città spagnola, con la sua "Plaça del Ayuntamiento" e la sua "Plaza de Toros", in questo caso attaccata (letteralmente) ad una bellissima stazione in stile liberty. Di fronte alla Plaza de Toros, liberamente visitabile quando non c'è corrida (e quando c'è mi guardo bene dall'entrarci), parte la classica via pedonale turistico/commerciale dove i ristoranti che offrono la classica Paella si accatastano uno sopra l'altro (non che siano migliaia, comunque), e attraverso la quale si raggiungono facilmente praticamente tutti i luoghi turisticamente interessanti, dalla cattedrale, al mercato generale (anch'esso in stile liberty e con una cupola centrale notevole). Il centro turisticamente interessante di Valencia è molto raccolto e facilmente visitabile a piedi dopo averlo raggiunto con un mezzo pubblico (non li ho usati, quindi non posso dire come siano) o in auto (da lasciare in uno dei millemila parcheggi a carissimo pagamento).
Se si escludono le attrazioni della parte nuova (la zona "Calatrava" per intenderci), Valencia è una abbordabilissima meta da un weekend, durante il quale si possono vedere i 3/4 delle cose interessanti che la città offre.
Girarla in auto è abbastanza semplice, grazie alla viabilità che ha fatto dei sensi unici anche per i viali a quattro/cinque corsie la propria filosofia principale, e sono presenti un paio di linee della metropolitana, che serve soprattutto la zona centrale.
Il caldo si fa sentire, ma come ogni buona città di mare che si rispetti, una buona ventilazione riesce a tenere bassa l'umidità abbassando anche il calore percepito.
In definitiva una promozione piena per una città sulla quale non avevo particolari aspettative positive.
martedì 27 luglio 2010
Spagna 2010 - Appunti di viaggio / 1
2650. Questo il totale del contachilometri della mia auto quando ho finalmente spento il motore in garage dopo una settimana di vacanza. Non è moltissimo, ma erano diversi anni che non macinavo così tanto chilometri in così poco tempo, e sebbene abbia patito il viaggio del primo giorno causa navigatore stordito che mi ha accuratamente fatto evitare l'autostrada per farmi andare via statale fino a Orange, sono stato proprio contento sia del viaggio in sè (Valencia una bella scoperta, Barcellona una riscoperta a vent'anni dall'ultima volta in cui c'ero stato), che del piacere di guidare per chilometri e chilometri che avevo un po' perso da quel tour de force tra Colorado, Wyoming, South Dakota, Nebraska, Colorado, New Mexico, Arizona, Utah (con annesso giro dello sterrato della Monument Valley) e ancora Colorado con una Geo Metro nel 1997.
Questo viaggio ha anche rappresentato il ritorno alla vacanza che più prediligo, cioè quella turistica, negli ultimi anni forzatamente sostituita dal tragico "villaggio all inclusive" per cause di forza maggiore (leggasi figlio troppo piccolo per girare tutto il giorno).
Ho quindi pensato (anche spronato da una richiesta, a dire il vero ;) ) di scrivere una sorta di "Appunti di viaggio", di cui questo post costituisce la prima parte.
Non so se ne faro' tre, quattro, dieci o cento, o magari questo post resterà solitario, ma ve lo farò sapere, così che non restiate in "vana attesa" della puntata successiva.
Questo post introduttivo, però, è forzatamente dedicato ad un pensiero che non ho potuto non avere quando ho superatol'uscita autostradale di Torreblanca, in Spagna. Quando ho visto quel cartello e, poche centinaia di metri dopo, il sovrappasso autostradale, non ho potuto fare a meno di pensare al Galimba e, do conseguenza a Zoccarato. Chi sono il Galimba e Zoccarato, vi chiederete voi? Sono due ragazzi conosciuti ai tempi del liceo legati da un destino che quelli che parlano bene definiscono spesso "cinico e baro". Galimba e Zoccarato frequentavano il mio stesso liceo, in altre classi, ed erano piu' giovani di me di un paio di anni, ed erano stati protagonisti di una mitica scena durante la finale del torneo di basket del triennio a metà anni 80. Entrambi giocavano a basket per delle società torinesi, ed erano rivali in campionato ancor prima che a scuola. La squadra di Galimba era in finale, mentre Zoccarato non era riuscito a trascinare i suoi a giocarsi il titolo, e così, visto il suo status di giocatore di basket, era stato chiamato a fare l'arbitro di detta finale. Due ragazzi diversissimi tra di loro: sempre timido e riservato Zoccarato, mai una parola fuori posto, mai un gesto scomposto,al contrario di Galimba, esuberante, egocentrico, sbruffone (ed anche un gran bel giocatore). Successe che Zoccarato prese una decisione discutibile, ora non ricordo più il particolare preciso, e Galimba si mise a protestare vivacemente. Molto vivacemente. E Zoccarato lo espulse. Uscendo dal campo smoccolando e bestemmiando, il Galimba si bloccò improvvisamente e tornò sui suoi passi per assestare a Zoccarato un calcio nel culo degno di una punizione di Maradona.
Baraonda, putiferio, risse sfiorate e partita sospesa per un bel pezzo, con Galimba richiamato persino nell'ufficio del Preside nei giorni successivi.
Poche settimane dopo Galimba e Zoccarato diedero la matura, e le loro strade si divisero, per poi riunirsi tragicamente, come vedremo.
Subito dopo l'esame, Galimba e quattro suoi amici partirono alla volta della Spagna, che in quegli anni era la meta preferita dei giovani italiani. Il loro viaggio si interruppe alle tre del mattino contro una colonna del sovrappasso autostradale subito dopo l'uscita di Torreblanca. Quattro morti sul colpo, il quinto gravissimo, probabilmente un colpo di sonno. Ricordo come fosse oggi la chiesa gremita e la gente fuori, sul sagrato, per i funerali di Galimba ed i suoi tre amici. Noi quattro o cinque che lo avevamo frequentato nonostante fosse di un'altra sezione e di un paio di anni prima (noi la matura l'avevamo gia' data chi l'anno precedente, chi quello ancora prima) ci guardavamo smarriti, appena sulla soglia della chiesa.
Ai primi di Gennaio dell'anno successivo, poi, lessi un piccolo trafiletto su La Stampa, che riportava la notizia di tre giovani, di ritorno dalle vacanze natalizie, deceduti in un incidente stradale sulle montagne francesi. Uno dei tre nomi era quello di Zoccarato e allora, come la settimana scorsa al passaggio a Torreblanca, mi venne in mente il calcio nel culo ed i percorsi del destino che, a volte,sanno essere incredibilmente tortuosi per poi incrociarsi quando meno te lo aspetti.
Domani vi prometto che sarò meno tragico, nel mio post, ma questo ricordo era dovuto.
Questo viaggio ha anche rappresentato il ritorno alla vacanza che più prediligo, cioè quella turistica, negli ultimi anni forzatamente sostituita dal tragico "villaggio all inclusive" per cause di forza maggiore (leggasi figlio troppo piccolo per girare tutto il giorno).
Ho quindi pensato (anche spronato da una richiesta, a dire il vero ;) ) di scrivere una sorta di "Appunti di viaggio", di cui questo post costituisce la prima parte.
Non so se ne faro' tre, quattro, dieci o cento, o magari questo post resterà solitario, ma ve lo farò sapere, così che non restiate in "vana attesa" della puntata successiva.
Questo post introduttivo, però, è forzatamente dedicato ad un pensiero che non ho potuto non avere quando ho superatol'uscita autostradale di Torreblanca, in Spagna. Quando ho visto quel cartello e, poche centinaia di metri dopo, il sovrappasso autostradale, non ho potuto fare a meno di pensare al Galimba e, do conseguenza a Zoccarato. Chi sono il Galimba e Zoccarato, vi chiederete voi? Sono due ragazzi conosciuti ai tempi del liceo legati da un destino che quelli che parlano bene definiscono spesso "cinico e baro". Galimba e Zoccarato frequentavano il mio stesso liceo, in altre classi, ed erano piu' giovani di me di un paio di anni, ed erano stati protagonisti di una mitica scena durante la finale del torneo di basket del triennio a metà anni 80. Entrambi giocavano a basket per delle società torinesi, ed erano rivali in campionato ancor prima che a scuola. La squadra di Galimba era in finale, mentre Zoccarato non era riuscito a trascinare i suoi a giocarsi il titolo, e così, visto il suo status di giocatore di basket, era stato chiamato a fare l'arbitro di detta finale. Due ragazzi diversissimi tra di loro: sempre timido e riservato Zoccarato, mai una parola fuori posto, mai un gesto scomposto,al contrario di Galimba, esuberante, egocentrico, sbruffone (ed anche un gran bel giocatore). Successe che Zoccarato prese una decisione discutibile, ora non ricordo più il particolare preciso, e Galimba si mise a protestare vivacemente. Molto vivacemente. E Zoccarato lo espulse. Uscendo dal campo smoccolando e bestemmiando, il Galimba si bloccò improvvisamente e tornò sui suoi passi per assestare a Zoccarato un calcio nel culo degno di una punizione di Maradona.
Baraonda, putiferio, risse sfiorate e partita sospesa per un bel pezzo, con Galimba richiamato persino nell'ufficio del Preside nei giorni successivi.
Poche settimane dopo Galimba e Zoccarato diedero la matura, e le loro strade si divisero, per poi riunirsi tragicamente, come vedremo.
Subito dopo l'esame, Galimba e quattro suoi amici partirono alla volta della Spagna, che in quegli anni era la meta preferita dei giovani italiani. Il loro viaggio si interruppe alle tre del mattino contro una colonna del sovrappasso autostradale subito dopo l'uscita di Torreblanca. Quattro morti sul colpo, il quinto gravissimo, probabilmente un colpo di sonno. Ricordo come fosse oggi la chiesa gremita e la gente fuori, sul sagrato, per i funerali di Galimba ed i suoi tre amici. Noi quattro o cinque che lo avevamo frequentato nonostante fosse di un'altra sezione e di un paio di anni prima (noi la matura l'avevamo gia' data chi l'anno precedente, chi quello ancora prima) ci guardavamo smarriti, appena sulla soglia della chiesa.
Ai primi di Gennaio dell'anno successivo, poi, lessi un piccolo trafiletto su La Stampa, che riportava la notizia di tre giovani, di ritorno dalle vacanze natalizie, deceduti in un incidente stradale sulle montagne francesi. Uno dei tre nomi era quello di Zoccarato e allora, come la settimana scorsa al passaggio a Torreblanca, mi venne in mente il calcio nel culo ed i percorsi del destino che, a volte,sanno essere incredibilmente tortuosi per poi incrociarsi quando meno te lo aspetti.
Domani vi prometto che sarò meno tragico, nel mio post, ma questo ricordo era dovuto.
mercoledì 7 luglio 2010
Generazioni a confronto
Nel 1971, a 8 anni, partecipai ad un concorso canoro regionale che qualificava alle selezioni nazionali per lo Zecchino d'Oro (lo vinsi, ma non comprando l'enciclopedia dello sponsor, venni scartato, ma non è questo il punto), presentando la canzone "Chissà se va" di Raffaella Carrà.
Oggi, tornando a casa dal Centro Estivo, mio figlio, 8 anni, mi ha chiesto di spegnere la radio, e mi ha cantato a memoria "La Guerra di Piero" di Fabrizio de Andrè, non risparmiandomi una dotta spiegazione del testo della canzone e del suo messaggio.
Non c'è che dire: figlio batte padre 100 a zero.
Oggi, tornando a casa dal Centro Estivo, mio figlio, 8 anni, mi ha chiesto di spegnere la radio, e mi ha cantato a memoria "La Guerra di Piero" di Fabrizio de Andrè, non risparmiandomi una dotta spiegazione del testo della canzone e del suo messaggio.
Non c'è che dire: figlio batte padre 100 a zero.
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