sabato 1 settembre 2018

USA 2018: Diario di viaggio/11 - Considerazioni finali

E' inutile girarci intorno. La prima delle innumerevoli considerazioni che si possono fare al termine di un viaggio simile è: "come si guarisce"?
Dopo essersi alzati all'alba per godersi lo spettacolo del sole che sorge al Bryce Canyon, dopo aver visto comparire il Delicate Arch al termine di un'impegnativa "passeggiata" sulle rocce, dopo essersi immersi nel bianchissimo deserto di gesso, come si fa ad alzarsi alle 6:20 al suono della sveglia, andare alla fermata dell'autobus e tornare a lavorare senza provare un minimo di nostalgia?
Solitamente tutto questo è indice di una splendida vacanza, ed il problema di trovarsi troppo bene è il duro richiamo alla realtà che avviene al nostro ritorno.
Le fotografie aiutano, i racconti pure, ed anche mettere nero su bianco le proprie impressioni, ma la cura è lenta e non dà garanzia di successo.
Prendi la macchina ed immediatamente rimpiangi quanto era bello guidare negli USA, dove se metti la freccia per cambiare corsia (qualsiasi sia il motivo) quello che sta dietro non accelera in maniera da facilitarti la manovra, dove nessuno è in competizione con gli altri guidatori sulla strada come invece sembra che sia nel nostro paese, dove le strade dritte saranno sì a rischio abbiocco, ma sono tenute benissimo e a volte sembra di viaggiare sul velluto.
In un paese dove la competizione è alla base di qualsiasi aspetto della vita, almeno sulla strada on si gareggia in un fantomatico gran premio per arrivare tre metri prima del tuo vicino di corsia, ed i viaggi diventano anche più rilassanti.
Viaggiando in macchina e vedendo la quantità stratosferica di pickup per le strade, mostri con motori di 5-6mila di cilindrata che consumano litri e litri di benzina, a volte viene da pensare che in America vendano solo quelli. E se nei posti più rurali il pickup ha un suo perchè, la domanda sulla sua utilità sorge spontanea nelle grandi città, esattamente come qui da noi, dove ti chiedi l'impiegato che fa solo casa-ufficio-casa, o la mamma che deve portare i figli a scuola e basta, che necessità abbiano di comprarsi SUV giganteschi che poi sono costretti a parcheggiare in qualsiasi posizione possibile tranne quella corretta a bordo strada.
I problemi di parcheggio negli USA non si pongono quasi mai. Nelle grandi città è pieno di parcheggi a silos, ovviamente a pagamento (anzi, a volte a STRA-pagamento, come quello che voleva 15 dollari ogni 15 minuti a Santa Monica), ma nei centri più piccoli lo spazio non è mai un problema.
Lo spazio, già.
Nella parte d'America che abbiamo visitato, il sudovest, lo spazio è l'ultimissimo dei problemi se non per il fatto che è talmente ampio che le distanza sono enormi. E nonostante le distanze siano enormi (o forse proprio per quello), la densità abitativa è ridicolmente bassa. Lasciamo perdere Los Angeles che ormai è un grande agglomerato di comuni, un po' come qui, fatte le debite proporzioni, dove per andare da Torino a Rivoli non ti rendi conto di passare comuni diversi e, se non ci fossero i cartelli, ti sembra di essere sempre nella stessa città. Abbiamo guidato per miglia e miglia senza incontrare segni di vita umana. Le distanze tra un centro abitato ed un altro in Arizona, Utah e New Mexico sono abissali, spesso raggiungono i 100 km, e spesso ci si chiede come facciano a vivere i loro abitanti. Banalmente, senza un negozio di abbigliamento in città (ed è capitato di passarne diverse di cittadine simili), esattamente dove si comprano i vestiti?
Abbiamo passato due giorni ad Hatch, un cosiddetto buco di culo del mondo nello Utah, ed anche i semplici negozi di alimentari erano a decine di chilometri di distanza. Ed esattamente, gli abitanti di Hatch come si guadagnano da vivere? Va bene chi gestisce il benzinaio, i due o tre alberghi ed il ristorante, ma gli altri? Non ci sono negozi, non ci sono aziende, ci sono un paio di ranch e stop. L'economia del paesino, su cosa si basa? Mistero. E così anche per centri più grandi come kayenta, ad esempio, dove apparentemente ci sono solo abitazioni, un piccolo centro commerciale con supermercato e quattro negozi, e le scuole. Nessuna traccia di altre attività.
Oltre allo spazio, da queste parti abbonda un'altra cosa: il cielo.
E' davvero incredibile quanto cielo ci sia. Non siamo abituati, semplicemente.
Sembra quasi che l'orizzonte sia più basso, dalla quantità di cielo che si vede, ma è solo un effetto ottico dato dalla grande distanza di eventuali rilievi montuosi. Per tre quarti del viaggio siamo stati sui 2mila metri di quota, sul grandissimo Colorado Plateau che domina la regione, ed essendo così in alto anche le montagne all'orizzonte sembrano ovviamente più basse, il tutto in favore della quantità di cielo visibile.
Difficile fare una classifica su cosa è piaciuto di più e cosa è piaciuto di meno, ma possiamo comunque provarci.
In ordine sparso, tra le note positive annoveriamo l'alba a Bryce, l'emozione nell'affacciarsi al Grand Canyon, White Sands, la visione del Delicate Arch dopo la scarpinata per raggiungerlo, il ritorno a Las Cruces e, in generale, le vedute mozzafiato ed i paesaggi meravigliosi che abbiamo visto.
Le note negative, a parte le code di Los Angeles, direi praticamente nulla. Persino la sveglia alle quattro a Yuma data dall'allarme antincendio non è riuscita a scalfire la nostra soddisfazione per questo viaggio, che resterà una pietra miliare della nostra famiglia.
Fino al prossimo...

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